corte dei conti reddito di cittadinanza

La Corte dei Conti boccia il reddito di cittadinanza. Il sussidio scrivono nel “Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica” non ha trovato un lavoro ai disoccupati italiani, né ha “abolito la povertà”. I risultati, al momento, appaiono “largamente insoddisfacenti”. Il giudizio conclusivo sul provvedimento voluto dai Cinque Stelle arriva a oltre un anno dalla sua entrata in vigore. A oggi, i nuclei percettori di reddito sono 947.698, pari a oltre 2,4 milioni di persone coinvolte, con un importo medio di 552 euro mensili.

Come riporta linkiesta, la critica maggiore della Corte dei Conti arriva sulla fase due del reddito di cittadinanza, quella della ricerca di un lavoro ai percettori del sussidio. Lo scorso luglio l’Anpal (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro) ha assunto 3mila navigator, proprio con l’obiettivo di supportare i centri per l’impiego. Ma scrivono un anno dopo dalla Corte dei Conti, “non sembra riscontrarsi una maggiore vivacità complessiva dell’attività dei Centri per l’impiego (cpi) e una crescita del loro ruolo nell’ambito delle azioni che si mettono in campo per la ricerca del lavoro”.

Corte dei Conti boccia reddito di cittadinanza

Sempre stando a quanto riporta linkiesta, secondo le analisi della Corte dei Conti, solo il 23,5% della forza lavoro nel 2019 ha cercato un’occupazione tramite i centri per l’impiego. Una percentuale che si è addirittura ridotta rispetto al 24,2% del 2017 e al 23,3% del 2018. Nella ricerca del lavoro continuano ad avere un ruolo predominante, in Italia, i canali informali. In particolare, ed è questo il dato più significativo, solo poco più del 2 per cento ha trovato lavoro, tra il terzo trimestre 2018 e il terzo trimestre 2019, tramite i centri per l’impiego.

Il ricorso ai centri è stato considerato efficace solo dal 2,2 degli interessati (era dell’1,8 per cento nel 2018 e del 2,7 per cento nel 2017). Al contrario, risulta in aumento l’utilizzo delle agenzie per il lavoro private, la cui quota aumenta di un punto percentuale rispetto al 2018.

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I giudici nella relazione scrivono che “alla data del 10 febbraio 2020, i beneficiari del RdC che hanno avuto un rapporto di lavoro dopo l’approvazione della domanda sono 39.760. Come previsto dalle norme, entro quella stessa data sarebbero stati tenuti a recarsi nei centri per l’impiego 908.198 beneficiari. Quelli effettivamente convocati invece sono stati 529.290, il 58% del totale, e di questi si è presentato solo il 75%. In totale, sono stati sottoscritti 262.738 patti di servizio, di cui solo il 33% sono stati convocati per un secondo appuntamento.

Il sussidio, fanno notare i giudici, è andato però soprattutto a beneficio delle famiglie mono componenti, che rappresentano il 39% dei percettori, mentre le famiglie numerose solo il 24%. Una distorsione dovuta alla scala di equivalenza usata, sul quale il governo Conte 1 era stato messo in guardia da più parti.

Poi c’è l’accesso ridotto per gli immigrati: la quota di beneficiari stranieri extracomunitari è meno del 6%, nonostante il 31% di questi siano secondo l’Istat in situazione di povertà assoluta. «Il vincolo dei dieci anni di residenza, di cui almeno gli ultimi due in via continuativa, potrebbe aver limitato il numero delle domande presentate dalle famiglie straniere», spiegano.

La misura, concludono i giudici, appare “sbilanciata a danno dei nuclei numerosi e con la presenza di minori e disabili”. Non vi è un “tasso di coinvolgimento delle famiglie con cittadinanza diversa da quella italiana», né si è rivelata «capace di includere anche le persone senza fissa dimora”.

 

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