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Napoli, ucciso per vendetta: Emanuele Durante sapeva di essere condannato

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«Mamma, morirò presto… fidati, morirò tra poco». È una frase agghiacciante quella che Emanuele Durante, 20 anni, affida alla madre poco prima di essere ucciso. Aveva capito di essere stato condannato a morte dalla camorra.

Napoli, ucciso per vendetta: Emanuele Durante sapeva di essere condannato

Il 15 marzo scorso, in via Santa Teresa degli Scalzi, viene giustiziato mentre è alla guida della sua auto, accanto alla fidanzata. A giustiziarlo, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il clan Sequino del rione Sanità, che lo riteneva responsabile della morte di Emanuele Tufano, 15 anni, avvenuta il 24 ottobre durante una “stesa” in zona Mercato.

Due esecuzioni, un solo filo conduttore: la guerra tra gruppi giovanili armati che si contendono il controllo delle piazze e l’onore del clan. Tufano, secondo le indagini della DDA coordinate dai pm Carrano, Sepe e Tufano, con il supporto dell’aggiunto Sergio Amato e del procuratore Nicola Gratteri, sarebbe stato ucciso per errore da un compagno durante una spedizione punitiva. A tradirlo, forse, la confusione e il panico. La camorra, però, non perdona: parte l’indagine interna. Emanuele Durante viene accusato di aver condotto il gruppo in un vicolo dove si trovava il nemico. Il sospetto di tradimento diventa sentenza. Durante viene convocato, interrogato, ma le sue risposte non convincono. Così Salvatore Pellecchia, cugino della vittima, organizza l’agguato. A premere il grilletto, secondo gli inquirenti, è Alexandr Babalyan: volto scoperto, in una strada affollata, sicuro che il silenzio coprirà tutto.

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Le indagini

Dai retroscena emergono particolari inquietanti. La “stesa” della notte tra il 23 e il 24 ottobre vede dodici giovanissimi su sei scooter piombare nel territorio del clan rivale Mazzarella per una dimostrazione di forza. Seguono gli spari. «Mamma, sparavano tutti. Io mi sono nascosto dietro a un bidone», confessa un minorenne intercettato dalla Mobile. «Hanno messo le pistole in mano ai ragazzini», racconta la madre alla maestra del figlio. Cinque giorni dopo l’omicidio di Durante, Alexandr Babalyan si sposa. I festeggiamenti, con fuochi d’artificio, si tengono in via Salita Capodimonte. Una celebrazione che stride con il sangue versato appena pochi giorni prima.

Intercettazioni e messaggi trovati sul cellulare di Emanuele Durante confermano il suo stato d’ansia crescente. Si sentiva in pericolo, sapeva di essere nel mirino e cercava disperatamente di procurarsi una pistola. In una chat scrive: «Poi ci mettiamo anche 150 calzini vicino», usando un linguaggio in codice per indicare i proiettili. Ma neppure l’istinto di sopravvivenza è riuscito a salvarlo: la macchina del delitto era già in moto. Il procuratore Nicola Gratteri è chiaro e deciso: «Non chiamatele paranze. Non sono bande improvvisate di ragazzini, ma vere cellule camorristiche, inserite in contesti criminali strutturati».

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