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Blitz delle forze dell’ordine a Ponticelli, 6 arresti nel clan. In manette è finito anche Marco de Micco, boss dell’omonimo clan, accusato di aver deliberato la morte di Carmine D’Onofrio, 23enne ucciso ad ottobre davanti agli occhi della fidanzata. 

L’agguato a Carmine D’Onofrio

Il 23enne fu ucciso perché sospettato di essere uno degli autori dell’attentato dinamitardo avvenuto, alcuni giorni prima, nei pressi dell’abitazione dello stesso De Micco, in via Piscettaro. L’omicidio del giovane fu organizzato nei minimi dettagli dal boss e dai suoi sodali. Per De Micco, Carmine D’Onofrio doveva essere ammazzato non solo perché era stato identificato come l’autore dell’attentato alla sua casa, ma era anche il figlio illegittimo di un altro ras di Ponticelli, Giuseppe De Luca Bossa, nemico proprio dei De Micco.

Come riporta Il Mattino, il boss avrebbe appreso la notizia dalla voce di Giovanni Mignano, esponente della cosca De Luca Bossa-Minichini che fu sequestrato dai suoi uomini e portato al suo cospetto per essere interrogato. Mignano sotto tortura fece un nome: Carmine. Per De Micco e i suoi si tratta di D’Onofrio. L’ordine del padrino di San Rocco è perentorio, il ragazzo va trovato ed eliminato.

Napoli, il gruppo di fuoco che organizzò l’omicidio

L’incarico fu affidato ad una batteria composta da Giovanni Palumbo, Ciro Ricci, già responsabili del sequestro di Mignano, Ferdinando Viscovo, Salvatore Alfuso e Giuseppe Russo junior.  Le conversazioni tra boss e gregari sono ascoltate dalle forze dell’ordine che da tempo avevano messo sotto osservazione l’abitazione del boss. Solo dopo la sua morte si è scoperto che D’Onofrio era il figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa. Una rivelazione che il 23enne ha pagato con la vita.

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