Ancora l’ospedale Cardarelli sotto i riflettori. Dopo il video diffuso in rete che immortalava un paziente morto in bagno, questa volta è il giornale diretto da Enrico Mentana, Open, a raccogliere la testimonianza di due pazienti dimessi dal nosocomio partenopeo.

Inferno Cardarelli: “Sangue ed escrementi a terra. Avevo paura di morire”

Il primo a rilasciare un’intervista è Pasquale Mignano, 60enne di Napoli oggi trasferito presso la clinica Santa Patrizia di Secondigliano. “Avevo paura di morire – confida Pasquale – vedevo passare sacchi con i cadaveri, a terra c’erano sangue ed escrementi, gli infermieri non ci assistevano come dovevano. Voglio raccontare quello che ho visto affinché qualcosa cambi”.

L’incubo di Mignano inizia circa venti giorni fa, quando viene ricoverato per un’aritmia al cuore. “Due domeniche fa – il primo novembre – non mi sono sentito bene e mia nipote mi ha accompagnato al Cardarelli”, racconta. Viene sistemato su una brandina “vicino all’ingresso, dove c’erano i vetri e faceva molto freddo. Ho chiesto una coperta ma nessuno me la portava”. ”Se non ti conviene stare qui te ne puoi anche andare, mi ha detto uno di loro. Ho passato tantissime ore vicino a quel vetro, gelido, con decine di persone malate di Covid che mi passavano davanti”.

Ma il calvario ospedalerio di Pasquale non è ancora finito. Dopo l’esito del tampone, viene trasferito nell’Osservazione breve intensiva dell’ospedale, dove stazionano altri 70 pazienti affetti da Covid. “Ero nel mezzo di una porcheria. Escrementi e sangue ovunque, il pavimento pieno di rifiuto. Il freddo, ricordo il freddo che sentivo e nessuno che se ne preoccupava”. Poi racconta una scena che dice di sognare ancora di notte: “Un vecchietto stava male, si lamentava. È stato preso e scaraventato nudo, con il pannolone sporco, su una brandina e abbandonato lì per tutta la notte”.

“Gli infermieri ridevano”

Le parole di Pasquale fanno raggelare il sangue. L’uomo racconta che, in quel contesto da girone dantesco, alcuni “infermieri non erano veri uomini, si comportavano da bestie: ridevano vicini ai cadaveri delle persone che sono morte davanti ai miei occhi, da sole, abbandonate”.

A confermare questo scenario da guerra anche il vicino di letto, Stefano Calafato, 48 anni, grafico che lavora a Napoli. Anche lui ha attraversato l’inferno dell’ospedale Cardarelli prima di essere trasferito nella clinica Santa Patrizia. “Ho passato qualche giorno nell’Osservazione breve intensiva del Cardarelli, l’Obi – racconta Stefano -. La prima cosa che ho notato, appena arrivato, è che sulla parete c’era scritto che quella stanza era predisposta per 39 persone. Il problema però, è che al suo interno eravamo più di 70 pazienti, la gente era ammassata ovunque”.

“Vecchietti nudi e abbandonati con il catetere da fuori”

Anche Calafato racconta di un pavimento lordo, insozzato da siringhe e sangue: “Ho chiesto di pulire e l’hanno fatto. Poi mi sono sdraiato sulla brandina, ma era così piccola che le gambe sporgevano fuori e il lenzuolo datomi era leggerissimo. Se sentivo freddo io, non oso immaginare gli anziani che erano ricoverati lì”. Lo scenario descritto da Stefano è altrettanto inquietante: “Vecchietti nudi con il catetere da fuori. Quando si alzavano per camminare perdevano escrementi dal pannolone. Una notte mi sono alzato per andare in bagno. Ho dovuto scansare gli escrementi altrui, i pappagalli e le siringhe a terra. Arrivato alla toilette, era impraticabile: ho dovuto fare pipì provando a prendere la mira dall’uscio”.

A differenza del suo compagno di letto, Stefano spezza una lancia a favore degli infermieri: “Erano quattro o cinque e dovevano accudire decine di vecchietti”. Denuncia però un episodio raccapricciante avvenuto durante il suo ricovero: “Un anziano si stava lamentando, soffriva. È arrivato un infermiere che gli ha dato dei colpi forti in mezzo al petto gridando: Tu la devi finire di chiamarci. Quello che so io è che, quel vecchietto, stava abbastanza bene, non aveva bisogno del respiratore. Dopo un’ora da quei colpi sul petto, quell’uomo è morto davanti ai miei occhi”.

Calafato conclude: “Il problema di quel reparto è che entri malato di Covid, ma senza essere in condizioni critiche, ed esci morto. Se Dante, oggi, fosse vivo e dovesse scrivere l’Inferno, si ispirerebbe al Cardarelli durante l’emergenza Coronavirus”.

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