Dopo 22 mesi di carcere Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna, sarà scarcerato tra oggi e domani. Ma non assolto dalle accuse.

Cos’è successo lo scorso 7 febbraio 2020 e perché il 30enne è stato arrestato al Cairo e rinchiuso in cella per quasi 2 anni? Riavvolgiamo il nastro e ripercorriamo la sua storia, dall’arrivo in Egitto alla decisione del giudice monocratico di Mansura.

La storia di Patrick Zaki

Patrick George Zaki è uno studente dell’Università di Bologna e attivista egiziano nato il 16 giugno 1991 a Mansura, in Egitto, da genitori di religione cristiana ortodossa copta.

In occasione delle elezioni presidenziali egiziane del 2018, Patrick Zaki è stato uno degli organizzatori della campagna elettorale di Khaled Ali, avvocato e attivista politico impegnato nella difesa dei diritti umani che successivamente ritirò la candidatura denunciando il clima di intimidazionee i numerosi arresti dei suoi collaboratori.

Zaki è stato membro dell’associazione per la difesa dei diritti umani Egyptian Initiative for Personal Rights, con sede al Cairo. Nell’autunno del 2019 stava frequentando un master universitario in studi di genere all’Università di Bologna in Italia.

Arresto

Era il 7 febbraio 2020 quando lo studente di Bologna lasciò l’Italia per andare a trovare i parenti in Egitto. Dopo l’atterraggio all’aeroporto del Cairo alle 4:00 (ora locale), Patrick fu catturato dagli agenti dei servizi segreti.

Per circa 24 ore non sono trapelate sue notizie né ai familiari né ai media. La notizia del suo arresto fu divulgata successivamente dall’Egyptian Initiative for Personal Rights (associazione umanitaria dove lavorava in qualità di ricercatore). La polizia egiziana scrisse nel verbale d’arresto che Zaki fu arrestato il giorno dopo, l’8 febbraio, ad un posto di blocco nel quartiere Jasyala a Mansura.

I capi d’accusa formulati nel mandato d’arresto sono: minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie, propaganda per il terrorismo.Nello specifico gli vengono contestati alcuni post su Facebook.

Le torture

Zaki è stato picchiato e torturato dalle forze dell’ordine egiziane. A denunciarlo è il suo avvocato, il quale riferì che il giovane fu bendato e torturato per 17 ore consecutive con colpi allo stomaco, alla schiena e con scariche elettriche inflitte dalle forze di sicurezza egiziane, oltre a essere stato interrogato a riguardo della sua permanenza in Italia, del suo presunto legame con la famiglia di Giulio Regeni, e del suo impegno politico, venendo inoltre minacciato di stupro.

La Procura Generale di Mansura dichiarò di avere constatato lo stato di salute del fermato, affermando che egli non palesava ferite sul corpo. Il Procuratore Generale dell’Egitto, Hamada el-Sawy, negò dunque che il 30enne fu torturato dalla polizia.

La detenzione

Dopo una breve detenzione presso Talkha, il 25 febbraio Zaki è stato trasferito nel carcere di Mansura ed è stata fissata la sua udienza in tribunale per il 7 marzo. Dopo una visita dei genitori concessa in via straordinaria, il 5 marzo è stato trasferito nel Carcere di Tora, al Cairo. Due giorni dopo, il tribunale competente ha rinnovato la sua detenzione preventiva fino alla successiva udienza, poi posticipata al 21 marzo e nuovamente posticipata a causa della pandemia di COVID-19 in corso.

La detenzione preventiva è stata più volte prolungata: prima di 15 giorni e poi di 45 giorni. Il 7 dicembre 2021, al termine della terza udienza, è stato deciso che Zaki sarà scarcerato, ma non assolto dalle accuse, e dovrà apparire davanti alla corte di nuovo il 1 febbraio. 

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