Un incontro trappola si è trasformato in un’esecuzione. Umberto Russo, 33 anni compiuti a giugno e conosciuto nell’ambiente criminale come “Pescetiello”, è stato seguito dalla propria abitazione e attirato in un tranello che gli è costato la vita. Alla guida della sua Jeep Renegade ha raggiunto via Miano, all’altezza della porta Piccola del Bosco di Capodimonte, dove ad attenderlo c’erano i killer.
Napoli, ucciso tra la gente: lo scontro tra gli eredi dei Lo Russo dietro la morte di Umberto Russo
L’omicidio è avvenuto ieri mattina intorno alle 9:50. Secondo i primi accertamenti, come riporta Il Roma, due uomini a bordo di una moto si sono avvicinati mentre Russo era ancora in auto e hanno aperto il fuoco. Gravemente ferito, è stato trasportato al Cardarelli, dove è morto poco dopo.
L’agguato, avvenuto davanti a passanti terrorizzati ma fortunatamente illesi, sarebbe collegato alle tensioni fra i clan che oggi si contendono l’eredità dei Lo Russo: da una parte gli Scognamiglio, dall’altra i Pecorelli-Catone. I carabinieri della compagnia Vomero hanno ascoltato diversi testimoni e raccolto i primi elementi utili per le indagini.

Un passato già segnato dal piombo
Non era la prima volta che Russo finiva nel mirino. Già nel 2015 un gruppo armato aveva tentato di eliminarlo in via Valente: allora si salvò per poco, ma un uomo incensurato rimase ferito nello scontro a fuoco insieme a lui. Russo aveva alle spalle quasi dieci anni di carcere. Sposato e padre di due bambini, era in libertà vigilata con l’obbligo di rientro serale, misura che non gli impediva però di muoversi nel quartiere. Solo poche settimane fa era stato fermato dalla polizia insieme a noti pregiudicati di Miano, con addosso 2.000 euro in contanti di cui non seppe spiegare la provenienza. La somma era stata sequestrata e sottoposta a verifiche.
L’ascesa criminale
Negli ultimi tempi, secondo gli investigatori, Russo avrebbe tentato di riaffermarsi come figura di rilievo nel traffico di droga, passando dal ruolo di semplice spacciatore a quello di capopiazza. Una scalata che avrebbe generato malumori e frizioni all’interno del mondo criminale locale.
Già nel 2016 era stato arrestato nell’operazione che portò alla cattura del boss Antonio Lo Russo, poi divenuto collaboratore di giustizia. In quell’occasione, “Pescetiello” era stato indicato come gestore della fiorente base di spaccio di via Valente, tra le più redditizie per la cosca dei “Capitoni”. Il suo ritorno sulla scena, dopo la scarcerazione, potrebbe aver rappresentato una minaccia per altri emergenti del quartiere e aver acceso la miccia che ha portato al suo assassinio.