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Matteo Messina Denaro è considerato uno dei mandanti dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del collaboratore di giustizia, Santino, ucciso a soli 12 anni e sciolto nell’acido dopo 25 mesi di prigionia. Per quell’orribile delitto, Denaro nel 2012 è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Palermo. Pena che dovrà scontare ora grazie all’arresto avvenuto il 16 gennaio 2023.

Fece sciogliere un bimbo di 12 anni nell’acido, Messina Denaro mandante omicidio del piccolo Giuseppe

L’omicidio di Giuseppe Di Matteo venne commesso a San Giuseppe Jato, l’11 gennaio 1996, da esponenti mafiosi nel tentativo di impedire che il padre, Santino Di Matteo, collaboratore di giustizia ed ex-mafioso, parlasse con gli investigatori. Il cadavere del bimbo di 12 anni non fu mai ritrovato perché venne disciolto in un fusto di acido nitrico.

Giuseppe fu rapito il pomeriggio del 23 novembre 1993, all’età di 12 anni, in un maneggio di Piana degli Albanesi, da un gruppo di mafiosi che agivano su ordine di Giovanni Brusca, allora latitante e boss di San Giuseppe Jato. Il rapimento venne architettato il 14 novembre del 1993, quando Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Giovanni Brusca si incontrarono in una fabbrica di calce a Misilmeri. Bagarella, Graviano e Messina Denaro rimproverano Giovanni Brusca di non aver preso provvedimenti riguardo all’inusitata quantità di uomini appartenenti al commando della strage di Capaci che stava collaborando con la giustizia: parlando dei pentiti, dopo aver scartato qualche nome poiché utile a Giovanni Brusca, Giuseppe Graviano propone di uccidere il piccolo Di Matteo.

Per tutto il 1994 il ragazzo fu spostato in varie prigioni nel palermitano, nel trapanese e nell’agrigentino (perlopiù masserie o edifici disabitati, Matteo Messina Denaro si offrì di tenere segregato il bambino nel trapanese a seguito delle lamentele di Brusca, coinvolgendo anche la mafia agrigentina cui era strettamente legato) e nell’estate 1995 fu infine rinchiuso in un vano sotto il pavimento di un casolare-bunker costruito nelle campagne di San Giuseppe Jato al quale si accedeva azionando un meccanismo elettromeccanico, dove rimase per 180 giorni fino alla sua uccisione.

Il padre, Santino Di Matteo, decise di proseguire la collaborazione con la giustizia nonostante il rapimento del figlioletto. Quando Brusca, latitante, venne condannato all’ergastolo per l’omicidio di Ignazio Salvo, su richiesta di Messina Denaro, Graviano e Bagarella, ordinò a Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo di uccidere il ragazzo, che venne quindi strangolato e poi disciolto nell’acido l’11 gennaio 1996, dopo 25 mesi di prigionia.

Il racconto da brividi di Vincenzo Chiodo

Nel corso del processo, Vincenzo Chiodo raccontò i dettagli macabri e orribili di come avvenne il delitto. «Io ho detto al bambino di mettersi in un angolo, cioè vicino al letto, quasi ai piedi del letto, con le braccia alzate e con la faccia al muro – spiega Chiodo -. Allora il bambino, per come io ho detto, si è messo faccia al muro. Io ci sono andato da dietro e ci ho messo la corda al collo. Tirandolo con uno sbalzo forte, me lo sono tirato indietro e l’ho appoggiato a terra. Enzo Brusca si è messo sopra le braccia inchiodandolo in questa maniera (incrocia le braccia) e Monticciolo si è messo sulle gambe del bambino per evitare che si muoveva. Nel momento della aggressione che io ho buttato il bambino e Monticciolo si stava già avviando per tenere le gambe, gli dice ‘mi dispiace’ rivolto al bambino ‘tuo papà ha fatto il cornuto’ (…) il bambino non ha capito niente, perché non se l’aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era… come voglio dire, non aveva la reazione di un bambino, sembrava molle… anche se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente la mancanza di libertà, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro… cioè questo, il bambino penso non ha capito niente. Sto morendo, penso non l’abbia neanche capito. Il bambino ha fatto solo uno sbalzo di reazione, uno solo e lento, ha fatto solo questo e non si è mosso più, solo gli occhi, cioè girava gli occhi. (…) io ho spogliato il bambino e il bambino era urinato e si era fatto anche addosso dalla paura di quello che abbia potuto capire o è un fatto naturale perché è gonfiato. Dopo averlo spogliato, ci abbiamo tolto, aveva un orologio da polso e tutto, abbiamo versato l’acido nel fusto e abbiamo preso il bambino. Io ho preso il bambino. Io l’ho preso per i piedi e Monticciolo e Brusca l’hanno preso per un braccio l’uno così l’abbiamo messo nell’acido e ce ne siamo andati sopra. (…) io ci sono andato giù, sono andato a vedere lì e del bambino c’era solo un pezzo di gamba e una parte della schiena, perché io ho cercato di mescolare e ho visto che c’era solo un pezzo di gamba… e una parte… però era un attimo perché sono andato… uscito perché lì dentro la puzza dell’acido era… cioè si soffocava lì dentro. Poi siamo andati tutti a dormire.»

Le condanne

Nel 2008, il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, che non era indagato per il sequestro, ammise di aver partecipato alle prime fasi del rapimento, permettendo quindi l’apertura del quarto processo, in cui vennero imputati di sequestro di persona e omicidio, oltre a Spatuzza stesso, anche Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Francesco Giuliano, Luigi Giacalone e Salvatore Benigno mentre con il rito abbreviato vennero giudicati Benedetto Capizzi, Cristofaro Cannella e Cosimo Lo Nigro. Al processo, Spatuzza chiese pubblicamente scusa: “Chiedo perdono a tutti, alla famiglia del piccolo Giuseppe Di Matteo e alla società civile, che abbiamo violentato e oltraggiato”. Nel 2010 il gup Daniela Troja condannò a 30 anni di reclusione ciascuno Capizzi, Cannella e Lo Nigro mentre nel 2012 la Corte d’assise di Palermo, presieduta dal giudice Alfredo Montalto, condannò all’ergastolo Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Salvatore Benigno, Francesco Giuliano e Luigi Giacalone.

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