Vi parlo del “sistema Mallardo”: con queste parole il Pm Maria Cristina Ribera apre la requisitoria nel processo “Caffè Macchiato” che vede imputati i fratelli Carlo e Pino D’Alterio e il boss Feliciano Mallardo. Una indagine lunga e complessa secondo il pubblico ministero che ha avuto un inizio e uno sviluppo anomalo rispetto alla complessità di inchieste. Si è cominciato prima con i provvedimenti restrittivi basati sulle dichiarazioni di 21 pentiti fuori dal clan poi con le altre dichiarazioni, con le intercettazioni nell’agenzia Broker di via San Vito ed infine con la testimonianza del collaboratore di giustizia Giuliano Pirozzi. Una sorta di indagine inversa che avrebbe poi condotto a tutta una serie di  investigazioni e di inchieste che hanno portato in carcere la maggior parte dei reggenti della cosca. Prima degli ultimi anni mai nessuno si era occupato del clan ha dichiarato il pm. Questo particolare avrebbe fatto in modo che il gruppo criminale fiorisse e crescesse a dismisura.

 

IL SISTEMA MALLARDO. Secondo il pm i Mallardo avrebbero terminato la loro fase violenta negli anni ’90. Il “core business”, se così si può dire, è sempre stato l’edilizia ma non solo. La cosca preferiva non imporre le estorsioni con le quali si poteva vivere al momento ma il  loro obiettivo era quello di entrare in qualsiasi attività produttiva, in qualsiasi nuova iniziativa, in ogni cosa che potesse portare loro guadagno  in eterno. Un clan lungimirante la cui mente proprio in Feliciano che da quando i boss capi, Ciccio e Peppe, sono stati arrestati ha sempre tenuto le redini di tutto.

 

LE PRINCIPALI ATTIVITA’. Il pm ha poi continuato proseguendo sui capi di imputazione nei confronti dei Mallardo. Non si tratta solo di associazione a delinquere, ma di violenza privata, intestazione fittizia di beni e riciclaggio.

 

GLI AFFILIATI. Circa 200 o più. Quantificarli è quasi impossibile racconta un pentito. Si veniva considerati affiliati nel momento in cui si percepiva uno stipendio o quando ci si prestava agli affari del clan diventando intestatari fittizi di beni.

 

I CAPI. Oltre a Feliciano erano Franco Napolitano e Giuliano Amicone a reggere le sorti, gli affari loschi e tutto l’apparato economico del clan. Insieme hanno fatto il bello e il cattivo tempo in città secondo la Ribera. Il gruppo avrebbe pilotato appalti, deciso sulle sorti delle ditte della nettezza urbana, sarebbero entrati in società con la maggior parte degli imprenditori del territorio e governato tutti i lavori edili della città.

 

UN CLAN POTENTE. Secondo Maria Cristina Ribera i Mallardo sono uno dei clan più potenti della zona. La loro influenza si estende dall’area giuglianese fino al basso Lazio. La potenza sta proprio nel sistema creato dalla cosca ovvero includere non solo piccoli gregari e affiliati ma una grossa rete di colletti bianchi che negli anni ha fatto loro da spalla.

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