giuseppe calvaruso arrestato palermo

In manette uno dei nuovi capi di Cosa Nostra. E’ Giuseppe Calvaruso, 44 anni, al vertice del mandamento di Pagliarelli. Era su lui che le cosche puntavano per rilanciare gli affari internazionali della mafia siciliana.

Palermo, arrestato il boss di Cosa Nostra Giuseppe Calvaruso

Scarcerato nel 2016, Calvaruso viaggiava molto. E non è un caso che i carabinieri del nucleo investigativo di Palermo l’hanno fermato ieri, alle 14.30, all’aeroporto Falcone Borsellino, di ritorno da un soggiorno in Brasile che durava ormai da un anno. Con lui sono state arrestate altre quattro persone. Si tratta di Giovanni Caruso, 50 anni, Silvestre Maniscalco, 41 anni, Francesco Paolo Bagnasco, 44 anni, Giovanni Spanò, 59 anni. Sono tutti accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, lesioni personali, sequestro di persona, fittizia intestazione di beni, tutti reati aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose.

Secondo una ricostruzione, il boss, ormai stabilmente integrato in Brasile, sarebbe rientrato a Palermo per il pranzo di Pasqua con la famiglia. Una debolezza che gli è costata il carcere. Per i carabinieri, Calvaruso sarebbe diventato il reggente del «mandamento» mafioso di Pagliarelli dopo l’arresto del boss Settimo Mineo, finito in cella due anni fa. Calvaruso da qualche tempo si era trasferito in Brasile delegando ai suoi fedelissimi la gestione gli affari delle «famiglie» a lui subordinate.

Prima di lasciare l’Italia, il capomafia avrebbe mantenuto, attraverso riunioni e incontri anche in luoghi riservati, un costante collegamento con i vertici dei mandamenti mafiosi di Porta Nuova, Noce, Villabate, Belmonte Mezzagno per la trattazione di affari. Avrebbe inoltre ricoperto anche altri ruoli. Tra i tanti avrebbe risolto le controversie fra gli «affiliati», assicurato «l’ordine pubblico» sul territorio, ad esempio prendendo parte a un violento pestaggio agli autori di alcune rapine non autorizzate da Cosa nostra. Come emerso in un dialogo intercettato con Caruso, Calvaruso avrebbe assicurato il mantenimento in carcere dei detenuti appartenenti alle famiglie mafiose del mandamento e gestito, grazie a prestanomi, il controllo di attività economiche dentro e fuori il territorio di sua competenza.

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