“Se vince Dominique Pellecchia siamo rovinati, teniamo le guardie addosso. Gli altri invece sanno come funziona la vita”. E’ uno dei passaggio chiave dell’ordinanza che ieri ha portato a 18 arresti a Melito, ad opera della direzione investigativa antimafia di Napoli. L’accusa principale è quella di scambio elettorale politico-mafioso.

Elezioni a Melito, camorra su Pellecchia: “Con lei avremmo le guardie addosso”

Per gli inquirenti, il clan Amato-Pagano avrebbe puntato al primo turno su Nunzio Marrone (non indagato) e al ballottaggio su Luciano Mottola (raggiunto ieri dalla misura cautelare). Tra le intercettazioni captate ce ne sono diverse però di questo tenore. In particolare uno dei protagonisti è Luigi Ruggiero, l’uomo che sarebbe stato scelto come candidato dalla criminalità ed un peso specifico, in termini elettorali, sarebbe stato rappresentato dai voti provenienti dal rione 219 di via Lussemburgo, una delle roccaforti del clan Amato-Pagano.

“Sta tutto in mano a voi là dentro” dicono a Ruggiero, che replica: “E’ il colmo, non può mai succedere”. Significativo – sottolineano gli inquirenti – è il riferimento alla capacità di controllare i voti del Rione ed alla necessità di evitare la elezione della Pellecchia che certamente li danneggerebbe. In alcune intercettazioni, Ruggiero afferma anche che bisogna votare Luciano Mottola perché “Dominique Pellecchia non scende a patti con nessuno. Ripete la stessa cosa a tutti quelli che incontra”. E, poi, ancora Pellecchia “aumenterebbe i controlli delle forze dell’ordine sul territorio”. 

Fallito l’accordo al primo turno, quindi, al ballottaggio per chi orbitava vicino al clan sarebbe stato assolutamente deleterio un successo al ballottaggio della candidata, poi sconfitta da Mottola per poco più 300 voti.

La figura di Emilio Rostan

Al centro dell’inchiesta però emerge soprattutto il ruolo di Emilio Rostan, noto imprenditore melitese e da sempre attività nelle vicende politiche. “Chi deve andare là deve comandare – diceva Rostan – vogliamo gente preparata”. Sarebbe stato lui la chiave di volta del patto politico mafioso, il “garante” come si auto-definiva e che viene riportato nell’ordinanza di misura cautelare. Un sistema su cui la Procura di Napoli ha indagato per mesi fino al blitz di ieri.

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