“Le sere dopo Gomorra sono aumentate le stese in città”. A dirlo è “Gigino” De Magistris, il primo cittadino di Napoli. Ad avventurarsi in questa analisi sociologica è un magistrato che conosce – o meglio dovrebbe conoscere – cosa sia in Diritto Penale il nesso di causalità. Istituire una relazione causale tra la messa in onda di una serie tv e un reato presuppone una serie di eventi intermedi che non solo mettono in ridicolo la sua tesi, ma minimizzano un fenomeno, quello criminale e camorristico, che a Napoli ha radici molto più profonde e molto più complesse di una boutade lanciata in un programma radio. Forse è un modo per sollevarsi dalle sue responsabilità e spostare l’attenzione mediatica dalle cause (i problemi di Napoli) agli effetti (la rappresentazione mediatica degli stessi)? 

Pensateci: un ragazzino di 16/17 anni vede la decima puntata di Gomorra in streaming o in tv, si personifica con Cosimino, il nipote di Enzo “Sangueblu”, decide di imitarlo; quindi scende in strada, si procura una pistola semiautomatica dal cassetto del papà pregiudicato o dal ricettatore sotto casa, coinvolge altri amichetti ipnotizzati allo stesso modo dalla fiction e altrettanto smaniosi di imitare i personaggi gomorriani; poi tutti insieme salgono sugli scooter, fanno le ore piccole e infine scorazzano tra i vicoli di notte sventagliando colpi di pistola a destra e manca per sentirsi Genny o Ciro l’Immortale. Ha senso? Sta in piedi? Secondo me no. De Magistris poteva trovare un altro modo per ingaggiare l’ennesima polemica a distanza con Roberto Saviano.

L’emulazione esiste, non c’è dubbio. Tutti i bambini o gli adolescenti prendono a modello un personaggio famoso – inventato o reale che sia – per ispirare i propri comportamenti e il proprio linguaggio. In tanti, baby-criminali o bravi ragazzi, useranno le battute della serie tv, il taglio dei capelli di Genny o di “Sangueblu”, il loro modo di camminare, per scherzare con gli amici o, nel peggiore dei casi, per intimidirli. Ma se un 14enne o un 18enne decide di consumare una stesa, lo farà perché il contesto in cui vive creerà le condizioni perché lo faccia e possa farlo. Saranno l’arma che già aveva in casa, le cattive frequentazioni, le rapine a cui assiste o a cui ha partecipato, l’assenza dello Stato e delle istituzioni, la mancanza di alternative, il silenzio dei genitori, ad armarlo e a spingerlo a correre su un motorino per mettere in pericolo la sua incolumità e quella del quartiere. Non di certo una scena di Gomorra, Scarface o de “Il Camorrista”, che al massimo offrono un linguaggio, una cornice, ma non una pistola.

A cura di Marco Aragno

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