“Alla domanda astratta e teorica se io avessi aperto i confini risponderei: a luglio, forse. Ma non ce lo possiamo permettere. Dobbiamo inventarci una vita per convivere con il virus”. A dirlo, commentando la riapertura dei confini regionali, è Massimo Galli, primario di Malattie Infettive all’Ospedale Sacco di Milano.

Il professor Galli, si legge su Il Messaggero, sostiene che “il passaporto sanitario o il certificato di negatività servono solo a complicarci la vita” poiché “non sono particolarmente utili né sostenibili scientificamente”.

“O si decide che si tiene chiuso, oppure se riapriamo i confini tra regioni dobbiamo alzare il livello di prudenza“, ha spiegato aggiungendo che nessun test dà il cento per cento di garanzia della non infettività di un soggetto.

“Se una persona si fosse infettata tre giorni fa e facesse il tampone oggi, con buona probabilità sarebbe negativo e tra tre giorni positivo”, ha detto Galli.

Virus meno aggressivo?

Secondo l’esperto, in questa fase siamo sicuramente più attenti a identificare focolai ma sulla minore aggressività del virus invita alla prudenza. “Ora stiamo osservando la coda dell’epidemia, che è caratterizzata da malati meno gravi e un numero minore di decessi. Le morti sono anche meno rapide, avvengono dopo una lunga battaglia. Non ritengo che il virus sia meno aggressivo, ma che la parte centrale e peggiore dell’epidemia paia essersi già espressa. Ora incrociamo le dita, e non limitiamoci a questo”.

Uno dei rischi è rappresentato dagli asintomatici. “Il virus per poter sopravvivere ha bisogno di un ospite, quindi la circolazione è mantenuta da una catena di Sant’Antonio tra ospiti, finché non esplode. E questo è tendenzialmente un virus esplosivo. A noi è arrivato di sponda dalla Germania, da un piccolo focolaio che era stato immediatamente spento, ma la scintilla ormai era partita. Il Covid-19 cova sotto cenere e quando trova la condizione ottimale esplode. Tanto più se abbassiamo la guardia“, conclude Galli.

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