Napoli. Stazione Marittima. L’arrivo di Carlo Calenda è accolto da una folta schiera di politici e amministratori. Provenienti da ogni angolo della Campania. Il leader di Azione ha un obiettivo ben preciso. Reclutare uomini capaci di rafforzare le fila del partito. In vista delle elezioni politiche del 2023 l’ex ministro renziano prova a rifarsi il look (politico).

Il reclutamento di Calenda nel capoluogo partenopeo

L’europarlamentare romano ha le idee chiare. Costruire un’alleanza riformista e centrista. Una sorta di terzo polo moderato. Distino e distante dalla destra sovranista e dall’alleanza Pd-M5s. Quest’ultima rappresenta un vero e proprio ritornello per l’establishement calendiano. Critiche su critiche nel corso di questi mesi. A partire proprio dal suo leader. Ma torniamo all’evento di ieri. Tante sono state le adesioni raccolte durante l’evento napoletano.

Fra tutte balza agli occhi l’ingresso in Azione del consigliere comunale di Giugliano, Rosario Ragosta, e dell’assessore Francesco Mallardo. Pilastri importanti della maggioranza guidata dal sindaco dem Nicola Pirozzi. Una notizia normale e legittima, almeno all’apparenza. Ma c’è un dato che merita un maggiore approfondimento. Come sottolineato precedentemente, Calenda critica quotidianamente la coalizione fra il Pd e il M5s. Gli stessi partiti con cui Mallardo e Ragosta governano a Giugliano. Avete capito bene.

Siamo davvero sicuri che questa scelta non produca una contraddizione in termini politici? Se Calenda sostiene di essere distante dal mondo giallorosso, qual è la valutazione politica che determina l’adesione ad Azione dei due politici giuglianesi? Sicuramente le scelte dei partiti rappresentano la grammatica quotidiana di chi svolge un ruolo istituzionale. Ma qui emerge una riflessione obbligata.

E che pone tutti dinanzi alle proprie responsabilità politiche. Altro dato da non sottovalutare è la reazione del primo cittadino giuglianese. Sara rimasto contento o spiazzato dalla scelta dei suoi alleati in città? Lo scopriremo nei prossimi giorni. Ai posteri l’ardua sentenza

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