La famiglia di Luigi Felaco, il trafficante di droga ed esponente del clan Polverino ammazzato il 6 dicembre del 2012 con quattro colpi di pistola alla testa, si è costituita parte civile nel processo che vede imputato Gianluca Troise. La decisione è stata formalizzata ieri mattina dai legali della famiglia dell’ex pregiudicato, nel corso della prima udienza del processo, poi rinviato al 18 marzo su disposizione del presidente della terza sezione della Corte d’Assise di Napoli.

Troise, dal canto suo, ha rinunciato al rito abbreviato, che avrebbe comportato l’eventuale riduzione di un terzo della pena, e si è avvalso di quello ordinario. L’assassinio di Luigi Felaco, detto “Ginetto”, consumatosi in pieno giorno e all’interno di un caseificio tra Marano e Calvizzano, maturò nell’ambito di una resa dei conti interna al clan Polverino ed è ricordato per le sue modalità particolarmente efferate. Le immagini choc dell’uccisione di Felaco, figlio del defunto ras “Peppe Nazzaro”, fecero il giro del mondo, grazie al video ripreso da una telecamera a circuito chiuso collocata all’esterno dell’esercizio commerciale di viale della Resistenza e poi diffuse dalla Procura di Napoli. 

La vittima, molto conosciuta a Marano, sua città d’origine, era considerata una “testa calda”, un cane sciolto seppur ritenuto vicino al clan di “Peppe ‘o barone”, ed aveva un curriculum di tutto rispetto. Esperienze criminali maturate nel clan egemone della città, ma anche “imprese” di ben altro genere: nel 2009 era finito infatti agli arresti per aver picchiato la moglie e sparato nella sua auto; poco dopo invece, invaghitosi di una donna legata in quel periodo a un pezzo da novanta del clan dei Casalesi, scappò con lei in Spagna. Un pedigree criminale di assoluto livello, che sembrava ripercorre le orme del più noto Giuseppe Felaco, l’uomo che, secondo gli inquirenti, aveva il compito di reimpiegare gli ingenti capitali frutto delle attività illecite del clan della “Montagna”. Giuseppe Felaco, padre di “Ginetto”, salì addirittura alla ribalta internazionale il 20 ottobre del 2011, quando le forze di polizia, nel corso di un blitz, scoprirono che tra i suoi vicini di casa figurava persino il divo di Hollywood George Clooney.

L’imprenditore legato ai Polverino era proprietario infatti una dimora non lontano da villa Oleandra, sul lago di Como, oltre a possedere decine di abitazioni e terreni in Campania. Il figlio venne massacrato la mattina del 6 dicembre del 2012, con ogni probabilità – come ipotizzato dagli inquirenti – per aver violato un patto o non aver sottostato agli ordini impartiti dai vertici del suo clan. Al momento dell’agguato, avvenuto intorno alle 13, il pregiudicato era sprovvisto di documenti e fu riconosciuto soltanto grazie a una cicatrice e ad alcuni tatuaggi impressi sul corpo.

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