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Melito Porto Salvo. Violentata e umiliata dal branco a 13 anni. Oggi gli otto componenti del branco sono in parte liberi, in parte agli arresti domiciliari dopo una condanna di primo grado. La giovane vittima, insieme al papà, è stata costretta ad allontanarsi e a cambiare vita, al Nord, lontani dal loro paese di origine. Accade in Calabria.

Melito Porto Salvo, la violenza sessuale di branco

La bambina, allora 13 anni, veniva prelevata all’uscita da scuola e poi condotta da parte per essere violentata a turno dal branco. Lo racconta il padre della vittima a La Stampa: “Io e la mia ex moglie ce ne siamo accorti leggendo la brutta copia di un tema che nostra figlia aveva lasciato a casa”, dice. La 13enne frequentava la scuola media Corrado Alvaro. Al suono della campanella, il presunto fidanzato la caricava in auto e poi la portava al cimitero o in montagna. Lì, tra quelle mura, avveniva l’orrore: in sette abusavano di lei. Per ottenere il suo silenzio minacciavano di far del male ai genitori.

Anche il padre ha subito minacce ed è stato invitato a non denunciare: “Quando io e la mia ex moglie abbiamo capito cosa stavano facendo a nostra figlia, per prima cosa sono andato a parlare al padre di uno di quei ragazzi. Era il più giovane, all’epoca era ancora minorenne, aveva 17 anni. Ho spiegato al padre: guarda che c’è anche un video. Qualche giorno dopo mi ha richiamato e mi ha detto: con il suo comportamento tua figlia si sta facendo una brutta nomina. In quel momento ho capito che eravamo soli. Nei giorni successivi sono venuti a dirmi di che non dovevo denunciare, ed erano anche persone molto vicine. Melito stava dando la colpa a mia figlia. Era come se si fosse meritata quella violenza. Ma io dico, anche se per ipotesi lei davvero all’inizio aveva creduto a una storia d’amore con Schimizzi, è possibile che neppure uno di quei ragazzi abbia avuto il cervello per capire quello che stavano facendo?”.

Lo sfogo del papà

“Si sono schierati tutti con gli stupratori. Con il risultato che loro se ne vanno in giro liberamente per le strade della Calabria, mentre noi ce ne siamo dovuti andare lontano”. Lo ha raccontato a La Stampa il papà della bambina violentata per due anni da sette persone a Melito Porto Salvo, in Calabria: “Confidavo in un minimo di neutralità da parte dei nostri concittadini, perché io sono stato molto attento a non accusare nessuno fino alla sentenza di primo grado. Dopo le condanne, speravo di ricevere un po’ di solidarietà. Ma la solidarietà non è arrivata” ha raccontato l’uomo che vive con la figlia in una località segreta a 700 chilometri di distanza dal paese.

I nomi

Giovanni Iamonte (30 anni), Daniele Benedetto (21), Pasquale Principato (22), Michele Nucera (22), Davide Schimizzi (22), Lorenzo Tripodi (21), Antonio Verduci (22). Per la procura erano in otto, ma il giudice ha riconosciuto la colpevolezza solo di sei di loro. Davide Schimizzi, il giovane che la ragazzina credeva il suo fidanzato e l’ha “ceduta al gruppo”, ha ricevuto una condanna a 9 anni e 6 mesi; Giovanni Iamonte, figlio del boss Remingo, che per anni ha abusato della tredicenne scegliendo a chi “prestarla”, a 8 anni e due mesi. Michele Nucera 6 anni e 2 mesi; Antonio Virduci 7 anni; Lorenzo Tripodi a 6 anni. Dieci mesi anche per Domenico Mario Pitasi, l’unico non accusato di reati sessuali. Altre due persone, ritenute colpevoli dalla procura, sono state assolte in primo grado.

La fuga

Papà e bambina sono stati costretti ad andare “in esilio”, lontani dalla Calabria. A Melito Porto Salvo non erano più visti di buon occhio. Prima sono andati una grande città del nord, messa a disposizione dall’associazione “Libera” di don Ciotti, poi si sono trasferiti altrove. “Ci hanno aiutato, adesso hoi un nuovo lavoro – dice il padre -. Siamo indipendenti. Ma a Melito ho dovuto lasciare quello che avevo di più caro. Noi siamo qua, mentre quei ragazzi sono stati scarcerati in attesa del processo d’appello che comincerà a febbraio”.

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