Veniva preso di mira tutti i giorni, in classe come sullo scuolabus, dai bulli che lo deridevano perché era grasso, perché portava gli occhiali, perché indossava le bretelle, e a volte lo picchiavano. Un’umiliazione che Michael Martin, 13 anni, non riusciva più a sopportare. E così si è tolto la vita.

Da settembre, di nascosto dai genitori, ogni volta che poteva, evitava di andare a scuola, accumulando assenze su assenze che la madre ha scoperto solo a novembre. Fino al giorno in cui Michael è crollato: il 23 gennaio ha tentato di uccidersi nella sua casa di Lansing, in Michigan, ed è stato salvato per un pelo, ma due giorni dopo ci ha riprovato e questa volta è riuscito nel suo intento.

La madre di Michael, Joanna Wohlfert, racconta di aver telefonato e inviato un’infinità di email alla scuola e alla Dean Transportation (la compagnia che gestisce lo scuolabus) quando ha scoperto che il figlio aveva avuto un forte calo di rendimento e che veniva preso di mira da molti compagni.

Solo a gennaio è finalmente riuscita a entrare in contatto con la dirigenza della scuola: l’assistente preside Priscilla Ellis le ha assicurato che avrebbe indagato sulla questione, ma Michael, per paura di ritorsioni, si è rifiutato di dire i nomi dei suoi persecutori.

“Mio figlio era un ragazzo mite, adorava andare a scuola – dice la madre – In condizioni normali non si sarebbe mai sognato di perdere una lezione. Lo hanno ridotto in uno stato pietoso. Quando l’assistente preside è venuta a trovarlo in ospedale il 23 gennaio mi sono chiesta perché fosse intervenuta solo in quel momento, perché si mostrasse preoccupata solo in quel momento. Era troppo tardi, avrebbe dovuto farlo prima. Lei e la scuola, così come la compagnia dello scuolabus, avrebbero dovuto proteggerlo prima. Hanno fallito nel loro compito”. Ora la polizia, ma anche il distretto scolastico di Lansing, stanno indagando sulla tragedia.

 

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