No-fly zone. Una frase inglese invocata a più riprese dal presidente dell’Ucraina Volodomyr Zelensky per fermare gli attacchi russi e l’uccisione dei civili. L’ultima volta che il politico in tuta mimetica ha pronunciato quella frase è stato ieri, lanciando anche un avvertimento all’Occidente: “Se non chiudete il nostro cielo, è solo questione di tempo prima che i razzi russi cadano sul vostro territorio, sul territorio dei Paesi Nato“, ha detto il presidente ucraino.

Cos’è la “no fly zone”, cosa rischia l’Italia se venisse imposta

Ma la Nato resta ferma sulle sue posizioni. Assecondare la richiesta di Zelensky, vuol dire solo una cosa: trascinare i Paesi  – tra i quali anche l’Italia – che fanno parte dell’Alleanza al conflitto.

Ma prima di capirne il motivo, proviamo a chiarire il significato della “no-fly zone”. Essa è soprattutto una misura che impedisce il sorvolo degli aerei in uno specifico territorio, solitamente interessato da un conflitto militare. È a tutti gli effetti uno schieramento di forze offensivo – e non difensivo – ed esso implicherebbe l’abbattimento di velivoli laddove qualcuno dovesse violare il divieto. La zona di interdizione può essere imposta da organizzazioni internazionali, come la Nato, ma anche dai singoli governi ed è efficace soltanto se chi la applica poi assicura che venga rispettata. In passato si è ricorsi alla “no-fly zone”, come  nel 1992 quando il Regno Unito e gli Stati Uniti, dopo la Guerra del Golfo, intervennero nello scontro tra il regime iracheno di Saddam Hussein e la popolazione Curda nell’Iraq settentrionale, stabilendo una vasta zona d’interdizione dove fu impedito di volare agli aerei iracheni. Lo scopo era quello di prevenire i bombardamenti e gli attacchi chimici del regime contro i Curdi e la popolazione a maggioranza sciita nell’Iraq meridionale. Non è quindi un provvedimento inedito per i Paesi occidentali.

Ma perché la Nato esclude di istituire la “no- fly zone” e la considera come una porta alla Terza Guerra Mondiale? Il presidente russo Vladimir Putin ha fatto capire più volte che una simile mossa verrebbe considerata come un coinvolgimento nel conflitto. Nei giorni scorsi il capo di Stato maggiore degli Stati Uniti, il generale Mark Milley, ha spiegato che “se viene imposta una no fly zone qualcuno dovrà farla rispettare: vorrebbe dire combattere le forze aeree russe”. In altre parole, l’Occidente vuole evitare a tutti i costi uno scontro diretto con Mosca. Per questo continua a insistere su altre soluzione per fermare la guerra in Ucraina, imponendo ad esempio un nuovo pacchetto di sanzioni oppure percorrendo la strada della diplomazia.

Dalla Casa Bianca, intanto, fanno sapere che gli Usa non invieranno aerei da combattimento, perché “la valutazione è guidata dall’obiettivo di prevenire una guerra mondiale”, dal voler fare “passi che non sono negli interessi degli Stati Uniti o dei nostri alleati” e che Biden “non intende inviare forze Usa a combattere in Ucraina”. Insomma, la possibilità che la Nato e i Paesi che ne fanno parte istituiscano la “no-fly zone” in Ucraina è alquanto improbabile. Ma la guerra non accenna a fermarsi e prima o poi una soluzione per porre fine agli attacchi russi in Ucraina dovrà essere individuata.

 

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