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David Foster Wallace è considerato uno dei più grandi scrittori americani dell’inizio del XXI Secolo grazie ai suoi libri. Oltre che narratore e autore di romanzi, è noto alla critica e al gran pubblico per i suoi saggi e i suoi lavori accademici. E’ morto suicida nel 2018.

Biografia di David Foster Wallace

David Foster Wallace nacque ad Ithaca nel 1962. Si tratta di una cittadina a 400 chilometri da New York. Ha vissuto  a Champaign, nell’Illinois, fino alla quarta elementare per poi trasferirsi a Urbana. Qui frequentò la Yankee Ridge School. Iscritto all’Amherst College, la stessa università del padre, vi si laureò nel 1985 in letteratura inglese e in filosofia, con una specializzazione in logica modale e matematica, per poi frequentare il primo semestre del corso di filosofia presso l’Università di Harvard. Qui fu costretto ad abbandonare l’università alla fine del 1989 per ricoverarsi presso la clinica psichiatrica McLean’s. Insegnò alla Illinois State University per gran parte degli anni novanta. La svolta professionale avvenne nel 2002, quando diventò professore di scrittura creativa e letteratura inglese al Pomona College, in California.

La morte di David Foster Wallace

Wallace morì all’età di 46 anni nel 2008. Fu suicida per motivi di depressione. Come spiegò il padre dello scrittore, David soffrì della malattia per oltre vent’anni e la curò grazie a una serie di antidepressivi che gli permisero di essere produttivo. Gli effetti collaterali dovuti ai farmaci che assumeva lo indussero, nel giugno 2007, ad interrompere la terapia a base di fenelzina, con il benestare del proprio medico. Fu probabilmente la causa del precipitare della malattia depressiva. La depressione infatti si ripresentò e Wallace sperimentò altre cure senza successo. Quando tornò ad assumere fenelzina, questa non gli faceva più effetto. Il 12 settembre 2008 Wallace scrisse un messaggio di addio di due pagine, corresse parte del manoscritto di “Il re pallido” e si impiccò ad una trave di casa sua a Claremont, in California. A rinvenire il cadavere fu la moglie, Karen Green.

I romanzi e i libri di David Foster Wallace

Fu autore di romanzi e di raccolte di racconti. Le opere di narrativa principali furono tre. Il suo romanzo d’esordio, “La scopa del sistema”, si ispira alla sua seconda tesi universitaria ed uscì nel 1987. La critica notò subito il talento di Wallace che, a soli venticinque anni, si distingueva per uno stile ironico e denso di richiami filosofici. Nel 1989 uscì negli Stati Uniti “La ragazza con i capelli stran”, una raccolta di racconti che tocca temi tipici di Wallace e fu considerata un suo manifesto poetico e stilistico.

Il secondo romanzo, invece, fu pubblicato nel 1996. Si tratta di “Infinite Jest“, considerato un capolavoro. Fu il libro che lo consacrò alla critica internazionale e lo fece conoscere in mezzo mondo. Nel 2006 la rivista Time lo incluse nella lista dei cento migliori romanzi di lingua inglese dal 1923 al 2006. Il romanzo  descrive la complessità della società contemporanea. Nonostante il linguaggio ostico e il ricorso continuo ai flussi di coscienza, il romanzo affronta molti temi cruciali. Tra i tanti l’uso delle droghe, il ruolo sempre più importante del mondo dello spettacolo, dei media e dell’intrattenimento, l’esasperata competizione sociale raccontata attraverso il tennis, sport che David Foster Wallace ha affrontato anche a livelli agonistici da ragazzo.

Definito dal New York Times un “Émile Zola post-millennio”e “la mente migliore della sua generazione”, la critica lo ha spesso paragonato ad autori celebrati come Thomas Pynchon, Don DeLillo, Vladimir Nabokov e Jorge Luis Borges.

Frasi di David Foster Wallace

  • A me sembra che quasi tutte le cose interessanti e vere nella mia vita e in quella dei miei amici implichino doppi vincoli o trappole in cui ti vengono offerte due alternative che si escludono a vicenda e tutt’e due implicano sacrifici che sembrano inaccettabili.
  • American Psycho si può considerare una sorta di compendio performativo sui problemi sociali di fine anni Ottanta, ma non è nulla di più.
  • C’è la gioia di imparare e la gioia di conoscere gli altri, e c’è tutta la roba religiosa e tutto il resto. Ma tutto il resto ormai rema contro quello che nella mia generazione e nella tua secondo me è molto diverso, che so, da quello dei nostri nonni: un’immensa, divorante, lancinante fame di piacere, e un vero senso di privazione quando non lo provi. Io non credo che lo farei, però credo che mi organizzerei in modo da avere intorno un sacco di amici che mi impediscano di farlo.
  • Infinite Jest è stato immaginato come un libro triste. Non so come sia per voi e i vostri amici, ma so che la maggior parte degli amici miei è molto infelice.
  • Secondo me in chiunque faccia satira, e probabilmente io ne ho fatta parecchia… c’è l’idea implicita, tacita che satireggiando qualcosa si crei forza motrice per il cambiamento. Cosa che di fatto non succede. Ma se non altro usi la satira come indicazione: metto questa cosa in ridicolo per dimostrare che è grottesca e inaccettabile, motivando così le persone a cambiare le cose. Ma quando satira e ironia non rispondono a quell’intervento, diventano un semplice strumento discorsivo fine a se stesso. Allora sì che le acqua si confondono.
  • Venire a uno show televisivo stimola la ghiandola del “come sembrerò” come nessuna altra esperienza.
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