Le misure adottate da oggi nelle zone rosse rispetto a quelle della scorsa primavera sono molto diverse.

La prima cosa che cambia è l’obiettivo. Il lockdown di marzo provava a far scomparire il virus. Le zone rosse di oggi cercano di limitare i danni e il collasso degli ospedali. Non hanno la presunzione di mettere ko il Covid.

Il “primo” lockdown era totale. Nessuno poteva uscire neanche per andare a lavoro (tranne alcuni). Oggi invece il mondo produttivo in gran parte non si ferma. Non si fermano le industrie, non si fermano gli uffici. Si ferma il tempo libero e parte del commercio.

A marzo si è cercato di impedire qualsiasi contatto, oggi invece si punta a fermare tutto ciò che possa creare socialità.

Ci sono molte meno attività che chiudono perché alcune di queste sono connesse con il mondo del lavoro. Non si fermano barbieri e parrucchieri perché purtroppo i mesi duri davanti a noi saranno ancora molti.

Non dobbiamo confonderci: parte tutto sempre da quel numerino che abbiamo imparato a conoscere, RT. Il numero che ci indica come avanza il virus. In primavera l’obiettivo era portarlo vicino allo 0. Oggi invece è arrestarsi all’1 o di poco sotto.

Che vuol dire? Che se abbiamo mille contagi questa settimana, la prossima continueremo ad averne mille. Invece oggi con l’indice in alcune regioni che sfiorava il 2 avevamo un raddoppio continuo dei positivi che ci avrebbe portato allo sfascio.

Una cosa è avere mille contagi a settimana. Una cosa è averne mille questa settimana, duemila la prossima, quattromila quella dopo, ottomila l’altra ancora. Insomma l’idea è quella di bloccare il virus ad un numero gestibile.

Rt a 1 significa proprio questo: i contagi che ho oggi saranno quelli di domani. Rt a 2 invece significa che i contagi che ho oggi saranno il doppio domani. Il ben noto aumento esponenziale.

Non dobbiamo analizzare le restrizioni di oggi pensando alla scorsa primavera, siamo in una fase nuova.

Detto questo era molto meglio fermarsi quindici giorni fa, perché avremmo bloccato la curva con dei numeri molto più bassi e più gestibili, sopratutto nelle regioni come la Campania che hanno un sistema sanitario con risorse limitate.

Ormai però una cosa è chiara a tutti: la lezione della prima ondata non è servita a nessuno.
Speriamo almeno che ci si prepari per tempo per la terza. Quella che arriverà a metà gennaio se riusciremo a fermare la seconda.

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