L’avvocato Schettino sta difendendo Michele Di Nardo. Il processo è uno dei tanti contro il Clan Mallardo. A deporre dietro un separè che fa molto ospedale c’è  Giuliano Pirozzi. Il super pentito della cosca giuglianese. Schettino è un avvocato in gamba come i suoi colleghi Pellegrino e Giametta. Non permette a Pirozzi il suo divagare continuo. Pirozzi è così quando parla in aula: capace di passare dal perché un vico è denominato in tale modo a come è stato trucidato un affiliato. Un fiume in piena. Schettino lo ferma, lo stoppa, lo incalza. Vuole capire quando e come si è pentito. Pirozzi svincola. L’accusa cerca di parare il colpo ma il giudice ritiene legittima la domanda dell’avvocato. Allora Pirozzi tira il fiato e sbotta. Spiega che non è facile pentirsi.

Sembra di non essere in un’aula di tribunale ma in un salotto TV. Racconta che la cassa del clan la gestiva Nave e che questo Nave aveva avuto una grave malattia. Era divenuto “inabile” al suo lavoro. Spiega che gli erano stati affidati degli investimenti. Chiarisce però che da questa cassa mancavano tanti soldi. La cassa era il calderone comune dove finivano tutti i proventi del clan. Affari leciti e illeciti. Lascia intendere che con tutti i luogotenenti dei Mallardo in galera qualcuno aveva approfittato prendendo più del dovuto. Allora serviva uno a cui accusare tutto l’ammanco. Così lui finisce nel mirino dei suoi amici. Ci finisce perché Feliciano, il suo padrino, non lo può proteggere. Allora per Giuliano Pirozzi, tuttofare del clan, Giugliano inizia ad essere pericolosa. Lo chiudono in garage. Gli fanno capire che deve dare i soldi. Lui giura che quei soldi non li tiene. Loro però non la pensano così. Allora si reca a casa di Michele, suo amico. Michele gli dice senza troppi giri di parole che è un uomo morto. Pirozzi spiega che ha paura. Da casa di Michele va direttamente in caserma. Torna a casa solo per convincere la moglie ad andare con lui.

Parla Pirozzi e la sua parlantina non è più così fluida e sicura. Sta raccontando di come i suoceri piangevano perché non avrebbero più visto i nipoti. Parla di come è difficile portare due figli in caserma di cui uno di pochi mesi avvolto di corsa nelle asciugamani nel cuore della notte. Parla di come per lui non sia stata una scelta semplice. Dice di averlo capito subito: dopo quindici giorni gli è morto il padre e lui non l’ha potuto piangere. Parla e dice sicuro: “la mia vita è cambiata in meglio”. Si intravede dietro al paravento che si gira verso il pubblico e sentenzia: “i veri affiliati sono gli omertosi che non denunciano”. Sembra che cerchi quasi un consenso. Ad ascoltarlo però nel pubblico siamo solo in due.

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