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Romania. Qualche parola di troppo, uno spintone, una collana sparita nel nulla. Infine l’accusa di rapina e il carcere. Quello che doveva essere un weekend tra amici all’estero si trasforma nel peggiore incubo della sua vita. Un ragazzo dell’area nord di Napoli, P.D.V., 26 anni, è finito in una prigione-lager in Romania, a Poarta Albă, nella regione di Dobrugia. Ha perso più di dieci chili dopo aver convissuto in una cella con trenta persone. Concluso un anno di pena, potrebbe rientrare in Italia, ma il giudice del Tribunale di Constantia gli ha negato al momento la libertà condizionale.

La storia

La vicenda risale a fine aprile del 2018. Il 26enne decide di partecipare al Festival SunWaves che si tiene ogni anno in Romania. Dj da tutto il mondo, musica tecno e minimal sparata dai woofer e luci stroboscopiche. Durante un concerto, però, qualcosa va storto. Nasce una discussione tra alcuni italiani con un giovane rumeno del posto. Una collana di diciotto carati sparisce. Passano alcune ore. Il diverbio al rave sembra solo un piccolo incidente. E invece non è così. Dopo un po’ il legittimo proprietario della collana chiama la Polizia locale. “Sono stato derubato”, riferisce. Gli agenti perquisiscono la stanza d’albergo del napoletano. Trovano il monile, che il ragazzo aveva ricevuto da un connazionale con l’intenzione di restituirlo. Viene condotto in caserma con l’accusa di rapina aggravata. Quando racconta la sua versione, non viene creduto. Così, messo sotto pressione, con la promessa degli avvocati d’ufficio di ottenere una pena più favorevole, decide di confessare ciò che non hanno fatto. Con rito abbreviato, viene condannato a due anni di carcere per rapina aggravata.

L’incubo del carcere-lager

Il codice di procedura penale della Romania sembra giocare a suo favore: un anno di carcere nel territorio dove si è consumato il reato, poi la possibilità di ottenere la libertà condizionale per buona condotta e terminare la pena in Italia. Peccato che il 26enne napoletano non abbia fatto i conti con l’inferno dei carceri rumeni. Il primo mese, racconta, è un film horror. Rinchiuso in una cella con altri trenta detenuti. I carcerati mangiano tutti in un piatto comune, defecano nello stesso posto e vengono nutriti ogni giorno a base di würstel. Dormono su letti fetidi, tra blatte e scarafaggi che passeggiano sui pavimenti e sulle lenzuola. Non va meglio fuori dal carcere, di giorno, perché quando viene condotto all’esterno, insieme agli altri detenuti, è costretto ai lavori forzati. Sembra un campo di concentramento.

La speranza dell’appello

Intanto dall’Italia la situazione si impantana: i parenti del 26enne hanno difficoltà a mettersi in comunicazione con il giovane. Inizia la trafila delle telefonate alla Farnesina, i contatti al Consolato italiano per ottenere informazioni. Dodici mesi di inferno, finché la vicenda non pare avviarsi verso un felice epilogo. Dopo un anno c’è infatti la possibilità di ottenere la libertà condizionale. Il giudice, però, gliela nega. P.D.V. dovrà scontare il secondo anno di pena in Romania, tra le mura del carcere-lager. Contro il provvedimento di diniego dell’istanza di liberazione del tribunale rumeno, gli avvocati difensori, con l’assistenza dell’avvocato giuglianese Giovanni Marrone (in foto), è stato presentato ricorso in appello. Le speranze sono appese a un filo: tra pochi giorni, il giovane saprà se dovrà sopravvivere per altri 12 mesi all’incubo del carcere di Poarta Albă. La famiglia teme che possa togliersi la vita.

A cura di Marco Aragno e Raffaele Castellone

IL VIDEO:

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