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Omicidio Giulia Tramontano, al via l’appello: la difesa di Impagnatiello nega la premeditazione e chiede attenuanti

Omicidio Giulia Tramontano, al via l'appello: la difesa di Impagnatiello nega la premeditazione e chiede attenuanti

Non fu un agguato, ma un “susseguirsi di errori”. Nessuna pianificazione, nessuna crudeltà, solo l’incapacità di un uomo di reggere il crollo dell’immagine “perfetta” che aveva costruito di sé. Con queste parole la difesa di Alessandro Impagnatiello, condannato all’ergastolo in primo grado per l’omicidio della compagna Giulia Tramontano, incinta al settimo mese, prova a ribaltare la sentenza davanti alla Corte d’Appello di Milano.  Il 25 giugno parte il processo d’appello.

Omicidio Giulia Tramontano, al via l’appello: la difesa di Impagnatiello nega la premeditazione e chiede attenuanti

Il delitto, avvenuto il 27 maggio 2023 a Senago, nel Milanese, è uno dei più efferati degli ultimi anni: 37 coltellate, il tentativo di dare fuoco al corpo con alcol e benzina, il cadavere spostato per giorni tra box, cantina e automobile, prima di essere abbandonato in un’intercapedine. Ma per la legale dell’ex barman 32enne, l’avvocata Giulia Geradini, non c’è prova che si sia trattato di un omicidio premeditato: “La dinamica dell’occultamento del corpo è stata grossolana, maldestra. Se avesse pianificato, non si sarebbe comportato così”.

L’obiettivo della difesa è ottenere l’esclusione delle aggravanti della premeditazione e della crudeltà, riconoscendo invece le attenuanti generiche per un possibile sconto di pena fino a 30 anni. “Impagnatiello – sostiene la legale – ha agito d’impulso, senza lucidità, sopraffatto dalla pressione di una doppia vita sentimentale e dal rifiuto, dentro di sé, di accettare una paternità che vedeva come un ostacolo”. In aula, viene citato il narcisismo dell’imputato come fattore psicologico rilevante: “Avrebbe voluto interrompere la gravidanza, ma non poteva ammettere pubblicamente un fallimento”.

Secondo la difesa, persino le ricerche su internet relative al veleno per topi, somministrato mesi prima alla giovane, sarebbero la prova di un’intenzione diversa: “Voleva provocare un aborto, non uccidere Giulia”. Il tentativo di eliminare il feto, spiega ancora l’avvocata, era motivato da questioni pratiche: carriera, futuro economico, nuova casa, equilibrio relazionale.

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La posizione dell’accusa

Tutt’altra la ricostruzione della Corte d’Assise, che nella sentenza di primo grado ha ritenuto provata una premeditazione durata sei mesi, culminata in un atto brutale: undici delle coltellate, secondo i giudici, sono state inferte mentre la vittima era ancora viva. E Giulia, in quei momenti, “ha senz’altro realizzato, sebbene per una manciata di secondi, che insieme con lei moriva anche il bambino che portava in grembo”.

A sostenere l’accusa in Appello è la sostituta procuratrice generale Maria Pia Gualtieri, che difenderà la tesi della premeditazione e la richiesta di conferma dell’ergastolo.

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