Si è chiusa ieri, con la decisione del Ministero di non sciogliere il Comune di Giugliano, una delle pagine più brutte delle cronache locali. Un teatrino miserabile, in cui abbiamo visto di tutto: cassandre, nani, ballerine e voltagabbana, impegnati unicamente a salvare o promuovere se stessi, a tifare per l’una o per l’altra decisione, spinti solo da interessi personali o di parte, senza pensare al bene della città.
Giugliano non si scioglie, la fine di un teatrino
Una comunità che, ancora una volta, ha subito in silenzio soprusi e offese, incapace persino di vomitare la propria indignazione. Come accade ai malati terminali, quando la sofferenza diventa talmente profonda da togliere anche la forza della rabbia.
La decisione del Governo si è dimostrata obiettiva: ha scelto di non sciogliere, ma ha descritto con precisione la nostra realtà. A Giugliano esistono, da sempre, sacche di marciume da estirpare. Poi ognuno potrà raccontarsela come vuole, ma poco cambia: gli orologi rotti segnano due volte al giorno l’ora esatta, ma non per questo funzionano.

Va spazzato via un modo di fare politica che basa il consenso su favori e feudi di potere, su rendite di posizione costruite sulla povertà culturale e sociale, sulla fame della povera gente e sugli appetiti degli speculatori. Per riuscirci servono risultati e autorevolezza. Solo così si potrà dimostrare la volontà di sradicare logiche grigie e pessime abitudini, mettendo nell’angolo chi ancora pensa alla politica come a un affaruccio personale.
Ma per farlo servono strumenti veri, perché la legalità — soprattutto nella città con il più alto disagio sociale d’Italia — non si impone con la bacchetta magica o con una commissione straordinaria, ma con investimenti seri e risorse concrete.