davide de fabbio ucciso messico

La voce ormai gira, anche tra i messicani. “Quelli di questa nazionalità (italiani, ndr) vendono elettrodomestici pirata a prezzi molto elevati”. E forse sarebbe questa la chiave per spiegare il caso dei tre napoletani spariti in Messico lo scorso 30 gennaio così come l’uccisione di sabato scorso di Alessandro De Fabbio, 32 anni, anche lui delle Case Nuove. Un filo sottile lega i due episodi avvenuti a centinaia di chilometri di distanza.

Un gruppo di partenopei – decine e decine, stando a quanto apprende la nostra testata – si è ormai insediato nello stato del Centro America a caccia di soldi facili. Girano a bordo di auto e furgoncini, carichi di elettrodomestici, e raggiungono i villaggi più sperduti degli stati di Jalisco, Chihuahua, Sinaloa, Durango, Zacates – dove non arriva neanche la corrente – per offrire ai contadini un assaggio di modernità. Un gruppo elettrogeno con cui accendere la luce, o un phon per asciugarsi i capelli, magari una motosega per tagliare gli alberi e ridurre la fatica di farlo a mano. Prodotti “pirata”, secondo alcuni; “cinesi”, secondo altri, ma comunque di bassa qualità rispetto ai prezzi esorbitanti a cui vengono venduti.

Un business florido, che spingerebbe tantissimi ragazzi e giovani dell’area nord di Napoli a fare le valigie e trasferirsi per sei mesi o più in un territorio difficile come il Messico per portare un gruzzolo all’ombra del Vesuvio da decine di migliaia di euro. Soldi facili, dicono, con cui avviare un’attività qui a Napoli, oppure utili a pagare la rata di un mutuo o ad acquistare un’automobile. Ed è forse questa la ragione che ha spinto Alessandro De Fabbio a imbarcarsi in un viaggio così lungo e rischioso lasciando moglie e figli alle Case Nuove, il quartiere dove abitava, a ridosso di via Marina.

Qualcosa deve essere però andato storto. Forse una motosega venduta all’uomo sbagliato. In uno stato dove la criminalità organizzata e i cartelli della droga fanno il brutto e il cattivo tempo, anche una piccola truffa può costare la vita. Saranno adesso le autorità locali a fare luce sulla vicenda e a scoprire gli eventuali legami tra l’attività di venditore ambulante di De Fabbio e la sua uccisione. Intanto però gli altri napoletani che vivono negli stati centrali del Messico dicono di avere paura. L’aria in zona si fa pesante. I partenopei si stanno guadagnando la fama di “truffatori” o “pataccari”. E anche gli espedienti adottati fino a ora per non destare sospetti, come cambiare territorio di mese in mese, o vivere guadagnandosi le simpatie delle comunità locali, sembrano non funzionare più. Per i napoletani in Messico non è più un buon momento per fare affari.

 

 

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