La nostra “povera” Italia: così ha inizio la presentazione del libro “Poveri a chi”?  L’incontro ieri al Palazzo Palumbo, con lo scrittore da Andrea Morniroli, operatore sociale ed assessore alle politiche sociali del comune di Giugliano, ed Enrica Morlicchio docente di sociologia presso l’Università Federico II di Napoli. Il titolo sembra quasi una satira, una caricatura che fa riflettere su una delle tematiche che più attira in questi periodi di grande crisi economica e sociale.

La tematica è rimettere al centro dell’attenzione non la povertà in genere, ma le persone che oggi giorno vengono definite i nuovi poveri. La crisi economica ha accelerato processi negativi che già erano in atto da tempo, comportando così perdita di posti di lavoro, precarietà sociale e lavorativa, fragilità giovanile nelle società. Sono proprio i giovani, infatti, ad essere il pallino di questa tragica situazione, intrappolati in un tunnel senza via d’uscita, non ci sono più stimoli, non ci sono più attese, e neppure speranze, si conta l’80% dei giovani “inattivi”, ossia coloro che non studiano e non lavorano più, coloro che non rivestono nessun ruolo nella società, c’è bisogno quindi di un cambiamento radicale che comporti un ricambio generazionale assoluto affinchè ci sia un miglioramento da tutti i punti di vista.

Sono d’accordo su questo i due autori del libro che affermano entrambi di come sia stata rapinata l’idea di un’occupazione stabile lavorativa, e si pone un accento maggiore sui fattori che hanno provocato nuove figure di poveri, impoverimenti diversi, i giovani non contano più sulle loro famiglie perché sono venuti meno le risorse principali.

Si parla quindi di una povertà radicata, non solo nel Mezzogiorno ma in tutta Italia, nel libro infatti vengono citate storie vere, di persone che godevano di una stabilità economica e che adesso non sanno neppure dove vivere. Il nostro è un paese strano, che non mira non solo

allo sviluppo delle politiche giovanili, importantissime invece per dare stimoli diversi e nuovi sbocchi sociali, non mira al “rinnovamento”  che permetterebbe una situazione nazionale sicuramente diversa. Ci fa quasi sorridere una città come Bologna o Torino avere le stesse problematiche o forse adesso ancora di più come Catanzaro o Palermo, ci voleva per forza una crisi economica per avere un’omogeneità o un’unione nazionale?

Ebbene si, tutto merito del nostro sistema governativo, ovviamente sbagliato che non si interessa, diventa razzista dinanzi alle problematiche e dinanzi soprattutto alle figure dei nuovi poveri.

Bisognerebbe avere garanzie ben salde per avere nuove prospettive, e chissà se un giorno avrà ragione il famosissimo cantante Rocco Hunt, ci sarà mai questo tanto atteso “Juorno buon”?! Forse si o forse no. Intanto il detto nazionale non si smentisce mai:”La speranza è l’ultima a morire”.

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