«In quell’isolato, al primo piano, c’era la stanza dei bambini… Lo sapevano tutti e tutti sapevano quello che succedeva. Tanto che uno degli inquilini è stato condannato a dieci anni per aver abusato della figlia dodicenne. Tutti andavano li e facevano quel che volevano con i piccoli. C’è chi se li giocava a carte. In quel maledetto posto, abitato da napoletani, mi hanno messo in mezzo, perché io non sono del loro ambiente. Io sono di Afragola». 

Dichiarazioni choc quelle rese in modo spontaneo vale a dire senza il contraddittorio alla fine di una breve udienza da Raimondo Caputo, per gli inquirenti l’orco assassino di Fortuna Loffredo, spinta giù dallo stesso edificio dal quale precipitò nel vuoto il 27 aprile del 2013, il piccolo Antonio Giglio, figlio di Marianna Fabozzi, che nel processo Fortuna Loffredo è coimputata con Titò per concorso in violenze sessuali sulle sue tre bambine.

Gli inquirenti adesso dovranno capire quanto siano fondate queste dichiarazioni e se effettivamente esisteva la “stanza dei bambini” come luogo dell’orrore dove si consumavano le violenze sessuali ai danni dei minori. Se questo scenario venisse confermato, emergerebbe un quadro inquietante di complicità nel Parco Verde di Caivano: tutti gli adulti, o quasi, sapevano cosa si faceva e tutti erano d’accordo sul farlo in quella stanza.

Anche la compagna di Titò, Marianna Fabozzi, ne saerbbe stata a conoscenza. Anche lei è indagata dalla procura di Napoli per omicidio volontario per la morte del piccolo Antonio, e Titò per concorso nello stesso reato. Quella che doveva essere solo un’udienza tecnica del processo davanti alla quinta sezione di Corte di Assise (presidente Alfonso Barbarano, giudice a latere Annalisa De Tollis), ha invece riservato più di un colpo di scena. In apertura del dibattimento il presidente ha letto il dispositivo che rigetta la richiesta della difesa e alcuni avvocati di parte civile di avere un confronto in aula tra Raimondo Caputo, che accusa del delitto la sua ex convivente, e Marianna Fabozzi, che invece nelle sue dichiarazioni spontanee ha di fatto fornito un alibi per Titò.

Inoltre Barbarano ha rigettato la richiesta di ascoltare in aula la prima figlia di Marianna Fabozzi, abusata da Titò con le altre due sorelline, la cui testimonianza raccolta dal pm Claudia Maone e dal procuratore aggiunto Domenico Airoma (i due magistrati dalla Procura di Napoli Nord che hanno condotto con tenacia un’indagine durata circa tre anni) costituisce la prova principe dell’intero dibattimento formalizzata e cristallizzata in due udienze dell’incidente probatorio.

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