17 Dicembre 1980, ore 18.00. Giugliano, come Napoli, come la Campania e l’Italia intera, è ancora in balia del caos dovuto al terremoto di un mese prima in Irpinia quando un’efferata faida di camorra uccide 8 persone in tre giorni. Tra queste persone anche Filomena, meglio conosciuta come Mena, Morlando.

 

Mena Morlando era una 25enne come tante, aveva un lavoro, usciva con gli amici ed era dedita alla famiglia. Quella sera, del 17 dicembre 1980, doveva andare a ritirare degli abiti in lavanderia prima di tornare a casa, era un tragitto breve, come lo sarebbe stata la sua vita, interrotta dai proiettili della camorra.

Nelle poche centinaia di metri che separavano il negozio da casa sua la giovane donna si imbattè in un conflitto a fuoco dove alcuni sicari cercavano di uccidere Francesco Bidognetti, detto Cicciot’ ‘e mezanotte”, che sfuggì all’agguato facendosi scudo con il corpo di Mena che venne raggiunta da un proiettile alla testa, la cui ferita la uccise sul colpo.

 

Da lì a poco Bidognetti sarebbe diventato uno dei capi dei Casalesi. I sicari erano stati mandati dal boss della Nuova Camorra Organizzata, il Professore Raffaele Cutolo, che da qui in poi comincerà la sua discesa nell’inferno delle carceri culminata con la decisione del Presidente Sandro Pertini di trasferirlo, in isolamento, al carcere di massima sicurezza dell’Asinara.

 

Contemporaneamente, mentre Cutolo crollava e Bidognetti ascendeva al potere, Mena veniva uccisa una seconda volta. Nessuno aveva visto niente. Nessuno aveva sentito. Allora la stampa dell’epoca, su mandato di qualcuno o per semplice “dimenticanza”, cominciò a sputare sulla memoria di Mena bollando questo omicidio, non come assassinio di camorra, ma come omicidio passionale. Addirittura ci si riferiva a lei sui quotidiani con il soprannome di “La maestrina”.

 

Solo due anni dopo l’omicidio si torna a parlare di Mena perché Bidognetti viene accusato dell’omicidio. Verrà addirittura assolto, nonostante le testimonianze dei pentiti di camorra. Gli inquirenti spiegarono che Cicciott’ ‘e mezanotte si trovava a Giugliano per risolvere una questione molto delicata: si era stabilito a Giugliano per dar man forte al nuovo gruppo emergente perché a Giugliano da un lato, c’erano i figli del vecchio boss del paese, defunto nel suo letto che avevano deciso di sostenere Raffaele Cutolo, il boss di Ottaviano a capo della Nuova camorra organizzata; dall’altro, un gruppo emergente parteggiava per la Nuova famiglia.

 

 

Il nome di Mena per anni finisce nel dimenticatoio, fino a che, come spesso accade, i riflettori tornano su una vittima innocente solo se a parlarne è un esponente importante della società contemporanea. Grande merito infatti lo si deve a Raffaele Cantone che ricorda la storia di Mena Morlando nel suo libro. Grandissimo merito va però al fratello di Mena Morlando, Francesco, che non si crogiola nel dolore della perdita di un così stretto familiare, ma con forza urla il suo nome, invoca giustizia e, citando Peppino Impastato, dice che “La camorra è una montagna di merda”.

 

Spesso, in questi casi, si dice che “La vittima si era trovata lì per caso”. No. La vittima si trovava dove doveva stare: nel suo Paese, nella strada che l’avrebbe portata a casa, dalla sua famiglia, ed il giorno dopo l’avrebbe dovuta rivedere, camminare, per andare dai suoi bambini, perché lei era “La maestrina”, ma non in senso dispregiativo, come fecero intendere all’epoca. Quelli che stavano lì dove non dovevano stare, al posto sbagliato nel momento sbagliato, erano i camorristi.

 

17 Dicembre 1980, ore 18.00- Il corpo di Filomena Morlando cessa di vivere.

17 Dicembre 2015- Filomena Morlando vive.

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