Ci potrebbe essere una svolta nella morte di Stefania Formicola, la mamma 28enne di San Marcellino uccisa a Sant’Antimo nell’ottobre scorso presumibilmente dal marito, Carmine D’Aponte.

La Procura ha infatti delegato il Ris di Roma una nuova indagine per ricostruire esattamente la dinamica della sparatoria avvenuta all’interno dell’abitacolo dell’auto. La tesi difensiva del marito era chiara: non ha ucciso lui la moglie, ma è la donna che prese in mano la pistola facendo partire involontariamente un colpo.

Una versione che in una prima battuta non convinse gli investigatori. I carabinieri trovarono l’uomo con la pistola fumante tra le mani.

 D’Aponte, trentatré anni, difeso dall’avvocato Mario Angelino, sin dall’udienza di convalida del fermo ha raccontato di essersi armato “per paura del suocero”, ha riferito di avere “subito minacce continue” dal padre di sua moglie e che – per questa ragione – aveva rubato una delle pistole che il suocero teneva nascoste in garage. L’arma che ha ucciso Stefania secondo il pm al culmine di un alterco tra i due.

D’Aponte si difende, oggi come allora, e racconta una sua versione dei fatti. “Quando salimmo in macchina -spiegò il trentatrenne al giudice – perché avevamo fatto pace dopo l’ennesima litigata dovuta alle ingerenze nella nostra vita di coppia da parte del padre di lei”.

“Mia moglie – il racconto di D’Aponte – si è spaventata ed ha girato l’arma verso di sé: il colpo è partito per errore». Questa la tesi difensiva e questa – presumibilmente – la motivazione della delega ai Ris da parte della procura di Napoli Nord che, dopo i nuovi accertamenti, procederà a chiudere le indagini e chiedere il giudizio.

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