La Cassazione annulla l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Antonio, Luigi e Benedetto Simeoli, fondatori e titolari della Sime costruzioni. I tre, su cui pendono svariati capi di imputazione, tra cui quello di essere affiliati al clan Polverino, sono in carcere dallo scorso 23 ottobre. Antonio Simeoli, alias “Ciaulone”, fondatore del noto gruppo imprenditoriale, è attualmente detenuto nella casa circondariale di Lanciano, mentre i suoi due figli, Luigi e Benedetto, sono reclusi a Secondigliano. La suprema Corte, accogliendo il ricorso dell’avvocato Gustavo Pansini, ha disposto nel contempo il rinvio degli atti al Tribunale del Riesame, al quale toccherà decidere nuovamente sull’eventuale scarcerazione dei tre, ritenuti dai magistrati della Procura di Napoli responsabili dei reati di associazione mafiosa, esecuzione di opere edilizie in assenza di autorizzazione, concorso in falsità ideologica e materiale in atti pubblici e con l’aggravante della finalità mafiosa. Un teorema accusatorio basato essenzialmente sulle dichiarazioni di alcuni pentiti: Di Lanno, Perrone, Izzo, Tipaldi e Verde.

Le motivazioni. Il collegio della Corte di Cassazione ritiene che allo stato, per quel che concerne la posizione di Antonio Simeoli, “difettino gli invocati riscontri esterni oggettivi alle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia. Vi è nell’ordinanza impugnata una contraddizione importante, laddove da un lato si ipotizza una sorta di pariteticità sodale tra Antonio Simeoli e Giuseppe Polverino e, dall’altro, emerge una vera e propria sudditanza, psicologica e comportamentale, rispetto al secondo”. Una contraddizione che, secondo i giudici della Corte, non giustificherebbe la misura coercitiva della detenzione in carcere. In riferimento invece alle posizioni di Luigi e Benedetto, il Collegio ritiene che “il Riesame sia incorso in un errore metodologico e valutativo, avendo trasferito la già lacunosa ricostruzione operata per il padre, Antonio Simeoli, sulle singole posizioni dei figli, alla luce del mero rapporto di consanguineità, ipotizzando, senza validi riscontri oggettivi, il ruolo di meri interposti del padre da parte dei due”. E ancora: “Il Tribunale si è limitato ad una mera operazione addizionale delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, accontentandosi di un dato formale di riscontro (il legame parentale) e senza esplorare il significato sostanziale del termine gestione”.

Il futuro. La palla passa insomma nuovamente nelle mani dei giudici del tribunale del Riesame, che si riuniranno non prima della fine del mese e che potrebbero ora optare – in attesa dell’eventuale celebrazione del processo – per la scarcerazione o attenuazione della prima delle due misure cautelari richieste dai magistrati.

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