Ogni piccolo dettaglio è una coltellata nello stomaco. Una storia assurda e orrenda. Un bambino violentato per quattro anni da un branco di suoi coetanei. Il motivo? “E’ gay”. Basterebbe questo menzogna per farci indignare: un ragazzino, solo perché ritenuto omosessuale, doveva essere vittima di ogni tipo di violenza. Perché quel “E’ gay” gridato alla mamma che aveva scoperto tutto è più feroce degli stessi stupri di gruppo. E’ la parola che mette fine all’umanità.

A Giugliano per quattro anni più di dieci adolescenti hanno smesso di essere umani. E noi? Che fine abbiamo fatto noi? Abbiamo tutti delle colpe. Certo.

Abbiamo girato la faccia davanti alla camorra e alle ecomafie. Per decenni abbiamo fatto finta di non vedere ciò che accadeva sul nostro territorio. Non abbiamo posto un necessario argine alla violenza under 18. Sono tanti, troppi i campanelli d’allarme che non abbiamo voluto ascoltare: i vigili aggrediti, la rissa fuori al borgo con la bimba che si ergeva a boss, i ragazzini rapinatori più volte arrestati, le baby gang padrone della città la domenica sera.

Così oggi è arrivata. Cruda e cattiva come solo la verità sa essere. Subdola perché avviene di fianco a luoghi che niente dovrebbero avere a che fare con queste vicende: la scuola ed il campetto della parrocchia.

Come abbiamo fatto a non capire che quella violenza che si respirava per strada tra i ragazzi, prima o poi sarebbe sfociata nel male assoluto. Nella sopraffazione dei più deboli. Come abbiamo fatto a divenire complici di una tale tragedia.

Non esistono soluzioni a buon mercato. Le parole di circostanza placheranno le nostre coscienze ma non renderanno migliore la vita dei nostri ragazzi. Ieri a Mugnano e oggi a Giugliano la gioventù è sotto attacco: dopo aver fatto ben poco per salvarli dall’inquinamento o dalla malavita oggi abbiamo il dovere morale di salvarli almeno da se stessi e dalla nostra indifferenza.

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