E’ crollato a terra davanti alla sua casa, mentre gliela demolivano. Salvatore Garofalo, 64 anni, è morto così. Nel peggiore dei modi. “Quando mio padre ha visto transennare la nostra modesta casa e sentito il rombo del motore della ruspa pronta a ghermire con la benna le pareti, è finito a terra”, racconta la figlia, Lucrezia.

“Un arresto cardiaco – ha proseguito -, inutile ogni soccorso. Ucciso dallo Stato, dalla burocrazia feroce e implacabile”. La rabbia sopravanza il dolore quando Lucrezia Garofalo rientra a casa, a Campolongo di Eboli, dopo aver dato l’ultimo saluto al papà Salvatore, morto sabato mattina mentre veniva eseguita l’ordinanza di demolizione di una casa di poco più di cento metri quadrati, un solo piano.

“La casa è abusiva, va abbattuta”, avevano sentenziato i giudici. E così Salvatore si è visto distruggere la casa costruita con il sudore della fronte, dopo una vita trascorsa a lavorare come muratore. Non ha retto alla vista di quei cartelli che annunciavano l’abbattimento della sua casa da parte di una impresa privata da lui stesso chiamata per evitare l’onta di uno sgombero coatto e l’abbattimento a carico dello Stato.

Viveva qui Salvatore Garofalo, trapiantato di rene e malato di cancro, fulminato da un infarto nel cuore della Piana del Sele, dove scorre la litoranea che da Salerno porta e Paestum. Una tragedia che secondo alcuni poteva essere evitata.

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