La cassazione conferma il carcere per Giuliano Ascione, imprenditore di 61 anni, arrestato a Formia nel dicembre 2011, nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Napoli denominata “Tahiti”. Secondo i magistrati Ascione è un affiliato al clan, un colletto bianco che piazzava i fondi della cosca nel basso Lazio. Ed infatti l’inchiesta fu denominata Thaiti come il nome del lido gestito da Ascione a Fondi. L’imprenditore fu condannato a sei anni e due mesi ma lo scorso maggio venne scarcerato. Di lì il ricorso della Procura e la decisione odierna della Cassazione. Il 61enne torna quindi in carcere a Secondigliano.  Per i giudici Ascione ha una personalità “altamente allarmante” e ha dimostrato di “aver fatto dell’appoggio alla camorra un vero e proprio costume operativo”, oltre ad aver mostrato “assenza di resipiscenza” e poi “La condotta criminale dell’Ascione – spiegano dalla Questura di Latina – era indirizzata prevalentemente allo sviluppo delle attività imprenditoriali necessarie  per investimenti,  in particolare nel settore immobiliare e del commercio di autovetture”. I familiari, tra cui fratelli e figli, furono tutti assolti all’epoca. L’unico ad avere condanna e conferma di condanna è stato lui arrestato dalla polizia di Formia su ordine del tribunale.

 

IL BLITZ DEL 2001. L’operazione Tahiti nacque nel 2011 e fu basata soprattutto  sulle  dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni telefoniche ed estesi accertamenti bancari e patrimoniali nel basso Lazio sulla famiglia Dell’Aquila, ritenuta dai magistrati braccio criminale ed economico del clan Mallardo. Dai riscontri emerse che i fratelli Ascione  erano reinvestitori dei capitali sporchi della cosca soprattutto nel basso Lazio. I settori principali erano quello  edilizio-immobiliare e del commercio di autovetture. All’epoca furono sequestrati diversi milioni di euro di beni. Ad essere condannato però fu solo Giuliano Ascione. Furono assolti invece Michele e Luigi Ascione accusati anche loro di associazione a delinquere di stampo camorristico per cui erano stati chiesti rispettivamente otto e nove anni. Assolti dal reato di partecipazione esterna Carmine, Ciro e Vincenzo Ascione figli di Giuliano.  Richieste di condanna respinte anche per gli accusati di intestazione fittizia di beni Elio Carmine Ascione, figlio di Michele, Giuseppina Flaviano, moglie di Giuliano, Filomena Flaviano, cognata di Giuliano, Paola Ausilio, moglie di Michele, Vincenzo Serino e Concetta Ascione, moglie e figlia di Luigi. Contestualmente fu disposta  la riconsegna dei restanti quaranta milioni di euro in beni all’epoca sequestrati su un totale di cinquanta milioni di euro.

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