“Divieto di rilasciare dichiarazioni non autorizzate ai mezzi di informazione”. Non si tratta dei membri dei servizi segreti, della Cia, né del KGB, ma dei medici dell’Asl Napoli 2. “Il personale di servizio, nell’esercizio delle proprie funzioni, non è autorizzato  – rilegge nel documento – ad intrattenere rapporti diretti con i mezzi di comunicazione, a rilasciare dichiarazioni o interviste, in quanto tali rapporti sono intrattenuti dalla struttura funzionalmente preposta. Ove mai le richieste di informazione vertano su aspetti tecnici e o specialistici, i dipendenti potranno rispondere, negli ambiti di specifica competenza, previo concerto con l’ufficio stampa”. E fin qui, effettivamente, trattandosi di un’azienda privata, potrebbe anche essere giusto e corretto in linea con il profilo e gli interessi privati.

 

 

La seconda parte però è un po’ più spinosa e forse va a ledere la libertà personale di un medico. Si legge: “E’ fatto divieto, altresì, per tutti i dipendenti di commentare le scelte dell’azienda, anche al di fuori dell’orario di lavoro, al fine di non arrecare danno di immagine all’Azienda. A tal fine, il personale deve astenersi dall’esprimere, anche  sui sociale network, giudizi sull’operato dell’azienda derivanti da informazioni assunte nell’esercizio delle proprie funzioni che possano recare danno o nocumento allo stesso”.

 

 

Insomma bocche cucite per i medici, punti di sutura sulla libertà di espressione. Non sono rari casi di persone che hanno subito un licenziamento per aver espresso pareri contrari,  ma ogni volta, giustamente, si alza un polverone. Perché i  social network spesso vengono usati per esprimere proprie opinioni e punti di vista e fondamentalmente servono a questo. Poco ci vuole poi creare un profilo falso e scrivere degli affari interni dell’Asl. I medici sono  in subbuglio e questa direttiva poco piace.

 

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