Al lavoro per 12, a volte anche per 14 ore al giorno, per un pugno di spiccioli e spesso in condizioni disumane. Alcuni da clandestini, altri con i passaporti “sequestrati” dal loro caporale, un loro connazionale. Si tratta di un gruppo di giovani bengalesi, da molti definiti i nuovi schiavi dell’area in cui gravitano le fabbriche tessili di Sant’Antimo, Casandrino e Grumo Nevano. Quei ragazzi, oggi, sono diventati il simbolo di un riscatto sociale.

Qualche mese fa, affiancati da un’associazione antirazzista e da un pool di legali, trovarono il coraggio per denunciare i loro aguzzini, avviando da Sant’Antimo una battaglia legale. E adesso quattro di questi operai bengalesi, tutti di età compresa tra i 23 e i 30 anni, hanno ottenuto il permesso di soggiorno e con una motivazione molto particolare: per protezione sociale. La stessa che, generalmente, viene adottata per sottrarre le ragazze extracomunitarie dal mercato della prostituzione. Il permesso è stato rilasciato qualche giorno fa dalla questura di Napoli e su disposizione dell’autorità giudiziaria, con la quale avevano collaborato per assicurare alla giustizia i loro caporali, condannati per i reati di riduzioni in schiavitù e tratta di esseri umani. Un riconoscimento che costituisce un precedente e che è in linea con le recenti direttive europee in materia di diritti umani.
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