Una storia maledetta. Maledetta sin dal primo luglio 2016. Una giornata calda, d’estate, quando Italo D’Elisa (FOTO) 22 anni, al volante di una Fiat Punto, travolge fra Corso Mazzini e via Giulio Cesare, a Vasto, Roberta Smargiassi, 33 anni, che viaggi a bordo di uno scooter. Roberta finisce contro un semaforo e muore.

Sette mesi dopo, il marito di Roberta, Fabio Di Lello, impugna la pistola ed esplode 4 colpi all’addome di Italo. Vendetta è fatta. Non la giustizia. Ma in tanti si chiedono perché quel panettiere e calciatore di buona famiglia sia arrivato ad uccidere un ragazzo di 22 anni, responsabile di un incidente mortale ma non di certo un killer.

Il giallo. Gli investigatori scavano nel passato delle vittime. Qualcuno, ad esempio, sostiene che Roberta fosse incinta di un bimbo quando è morto, ma questo dettaglio non è mai stato confermato. I carabinieri appurano che D’Elisa non fosse ubriaco, né sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Gli investigatori non ritengono vi siano gli elementi per arrestare D’Elisa. Questo, però, non basta a placare gli animi e il risentimento di Fabio Di Lello. Il 15 luglio parte una fiaccolata che invoca giustizia per Roberta Smargiassi. Un silenzioso corteo che sfila lungo il centro di Vasto. Contemporaneamente, parte anche una campagna d’odio contro l’investitore. Su Facebook e sui social viene attaccato, finisce nel mirino di tanti residenti del paese. La tomba di Roberta diventa un luogo di pelegrinaggio. Fabio si reca ogni giorno al cimitero e sul suo profilo pubblica la foto de Il Gladiatore di Ridley Scott, film in cui il protagonista vendica la moglie uccisa dall’imperatore.

Il 33enne, insomma, non si dava pace. E lo faceva capire in tutti i modi. “La mia Roberta mi è stata rubata, rubata ai propri sogni, ai progetti di vita, rubata al suo desiderio di essere madre, rubata al mio amore, agli amici, al suo amore per la vita, al suo sorriso, ai suoi genitori a tutti noi”. Lo scriveva Fabio Di Lello annunciando, nello spazio dedicato ai lettori del portale ‘zonalocale’ una messa in suffragio per la moglie Roberta Smargiassi il 2 agosto scorso. “Hanno trasformato il nostro dolore e la sua morte come fosse un videogioco – aggiungeva Fabio – Mi chiedo, dov’è giustizia? Mi rispondo, forse non esiste! Non dimentichiamo, lottiamo, perché non ci sia più un’altra Roberta”.

Il rinvio a giudizio. Eppure le indagini erano andate avanti. La Procura aveva rinviato a giudizio Italo D’Elisa per rinvio a giudizio e il prossimo 21 febbraio c’era l’udienza. Di Lello era accecato dalla rabbia e dal dolore, non ha voluto aspettare la giustizia degli uomini. Ha preferito la sua, ispirandosi a Il Gladiatore di Russell Crowe. Prima di uccidere Italo D’Elisa, è andato fuori al bar, ha scambiato qualche parola con la sua vittima, infine ha estratto la pistola e ha fatto fuoco. Il corpo di Italo è stramazzato a terra in un lago di sangue. Fabio Di Lello scappa, chiama l’amico a cui confessa il delitto, va al cimitero e deposita la pistola sulla tomba della moglie. Infine si costituisce.

Nessuno sa cosa si siano detti i due uomini. Forse qualcosa che ha spinto Di Lello a uccidere D’Elisa. Forse no. Gli investigatori cercheranno di fare luce su questa drammatica vicenda dai retroscena inquientanti. Una storia iniziata il primo luglio scorso sull’asfalto di via Mazzini e finita ieri fuori al bar Drink Waterdi di via Perth.

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