Giugliano è la città in Italia dove il “no” ha registrato la vittoria più schiacciante. Ha raggiunto il 74 %, mentre il “sì” è rimasto inchiodato al 26 %. Subito dopo, tra i primi 50 comuni d’Italia, ci segue Catania, che è stato il capoluogo di provincia dove il “no” ha trionfato di più, al 72 %. L’altro dato che fa riflettere, insieme a questo primato, è anche il basso tasso di affluenza. Nella terza città della Campania ha votato il 55 % degli aventi diritto, cioè il dieci per cento di elettori in meno rispetto alla media nazionale, che è stata del 65 %.

Disaffezione verso la politica e contrarietà al cambiamento? Bocciatura della riforma Boschi e di Matteo Renzi? Questi dati possono essere interpretati diversamente. Ma ciò che non si può negare è il loro valore politico. Migliaia di elettori a Giugliano come in altre parti d’Italia hanno espresso alle urne un “sì” e un “no” a ciò che Renzi e il suo Governo hanno fatto e hanno rappresentato in questi mille giorni al potere. Per dare una chiave di lettura del risultato emerso dalle urne giuglianesi si potrebbe partire da un grande escluso: il Sud. La vera Caporetto del renzismo a questo referendum.

Del resto lo ha sottolineato con un intervento pubblicato oggi su Repubblica anche Roberto Saviano: il Mezzogiorno si è stancato. Quell’esercito di disoccupati, cassaintegrati, precari del voucher, piccoli imprenditori falliti e semplici studenti che intravedevano in Matteo Renzi la strada d’accesso al rinnovamento e l’occasione per mandare in soffitta – per rottamare, direbbe l’ex premier – i rappresentanti della stagione berlusconiana e della Seconda Repubblica, è rimasto al palo. I treni del cambiamento non sono mai passati.

Eppure Renzi ci ha provato, va detto. Il Sud era stato, almeno nelle dichiarazioni programmatiche, una delle priorità della sua agenda politica. Nel 2014 il tour nelle discariche della Campania e il decreto Terra dei Fuochi con l’invio dell’esercito. Poi la strizzata d’occhi alle grandi opere e alle multinazionali: l’arrivo di Apple in pompa magna, la fine della Salerno-Reggio Calabria, il piano di rilancio del quartiere di Bagnoli.

E aveva avuto occhi anche per Giugliano, forse ben sapendo, insieme al suo altero ego salernitano, il Governatore De Luca, quanto la terza città della regione fosse uno snodo elettorale importantissimo, un crocevia di insoddisfazioni sociali e problematiche ambientali. La capitale della Terra dei Fuochi meritava la giusta considerazione da parte del Governo centrale. Lo aveva capito. E lo aveva capito talmento tanto che aveva deciso di stanziare 500 milioni di euro per lo smantellamento di Taverna del Re. Le piramidi della vergogna erano da smaltire insieme alle scorie della vecchia politica bassoliniana. L’impatto comunicativo sull’elettorato sarebbe stato forte.

Niente di tutto questo ha funzionato. I calcoli di Renzi si sono rivelati sbagliati. La narrazione del cambiamento ha viaggiato attraverso le televisioni e i quotidiani schierati dalla sua parte ma non hanno mai attecchito nella realtà dei territori. Il tema ambientale – pure così sentito alle latitudini giuglianesi dopo l’emergenza rifiuti – non ha fatto breccia nel cuore degli elettori. Complice, forse, anche la scarsa mobilitazione del PD locale e l’aggressività mediatica del Movimento Cinque Stelle. I dati che venivano dall’economia reale – la ripresa fiacca, l’elevato tasso di disoccupazione giovanile, la diaspora dei laureati all’estero – alla fine hanno pesato di più sulla bilancia dei sentimenti elettorali. Il Sud così come Giugliano hanno detto “no” a chi non ha risposto a queste domande di cambiamento. E ha detto “no” ai vecchi e odiosi rituali della politica, agli appelli di De Luca che chiama a raccolta il suo esercito di imbonitori del “sì” pronti a comprarsi un elettore con un piatto di frittura, a quegli atteggiamenti da “caporalato” che sembravano appartenere alla preistoria democristiana. Se il Mezzogiorno ha detto un “sì”, lo ha detto a chi non si lascia più fregare.

A cura di Marco Aragno

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