Il 4 dicembre i cittadini italiani saranno chiamati a esprimersi sul referendum che ha per oggetto la riforma costituzionale più importante dal 1948 ad oggi. Tantissimi gli aspetti della vita pubblica del Paese che andrebbero toccati se passasse il sì: dal Senato della Repubblica alle competenze tra Stato e Regioni fino all’abolizione del Cnel. Ma perché votare sì al referendum? E perché no? Quali sono le ragioni del sì? E quali quelle del no? Vediamo nel dettaglio cosa prevede la riforma costituzionale.

  • Camera e Senato (perché sì e perché no)

Finisce il “bicameralismo perfetto” che ha caratterizzato la Prima e la Seconda Repubblica. Soltanto la Camera potrà votare la fiducia al Governo. Il Senato passa invece dai 315 membri attuali a 100, di cui 95 eletti dai consigli regionali e 5 dal Presidente della Repubblica. I membri eletti dal Senato restano in carica per tutta la durata del loro mandato territoriale anche se cambia la legislatura. Il Senato inoltre avrà competenza soltanto sulle seguenti materie:

  • Riforme costituzionali
  • Disposizioni sulla tutela delle minoranze linguistiche
  • Referendum
  • Verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato
  • Valutazioni delle politiche pubbliche

L’eleggibilità indiretta dei senatori, le difficoltà interpretative derivanti da queste nuove competenze e la durata della carica di senatore coincidente con quella del mandato territoriale sono tra le principali ragioni dei sostenitori del “no”. Al contrario, i sostenitori del “sì” ritengono che la riforma del Senato abbatta i costi della politica, riduca il numero dei parlamentari e velocizzi i processi legislativi.

  • Competenze tra Stato e Regioni (perché sì e perché no)

Vengono riviste le competenze tra Stato e Regioni così come assegnate dall’attuale articolo 117 novellato dalla riforma del Titolo V del 2001. In particolare vengono riassorbite nell’alveo delle competenze statali alcune materie importanti come energia, infrastrutture strategiche (come la TAV) e il sistema di protezione civile. Non solo: la Camera potrà anche approvare leggi nelle materie di competenza regionale “qualora lo richieda la tutela dell’unità giuridica e economica della Repubblica“. i sostenitori del “sì” ritengono che la riforma del titolo V abbia prodotto solo sprechi, corruzione e conflitti tra Stato e Regioni. I sostenitori del “no” ritengono invece che questa modifica costituisca un passo indietro e che il ritorno al centralismo penalizzi le autonomie locali e il potere decisionale dei territori.

  • I referendum (perché sì e perché no)

La riforma costituzionale prevede che la proposta per il referendum dovrà essere sottoscritta da almeno 500mila euro elettori. Però se si raggiunge la soglia degli 800mila, il quorum non verrà più calcolato sugli aventi diritto ma sul numero dei votanti dell’ultima tornata elettorale: per renderlo valido basterà la metà di questi ultimi. I sostenitori del “no” ritengono che questa scelta possa comportare modifiche e abrogazioni legislative con numeri di votanti risibili. I sostenitori del “sì”, invece, sostengono che in questo modo si abbatte il rischio di invalidare referendum che spesso e volentieri non riescono a raggiungere il quorum necessario. La riforma prevede altresì l’introduzione dei referendum propositivi, istituto fino ad oggi sconosciuto nel nostro ordinamento.

  • Legge di iniziativa popolare (perché sì e perché no)

I cittadini potranno proporre leggi di propria iniziativa come in passato, ma le firme necessarie salgono da 50mila a 150mila. A favore del “no” si ritiene che questo renda ancora meno democratico il processo di partecipazione dei cittadini ai processi legislativi del Paese perché aumenta il numero dei sottoscrittori. I sostenitori del “sì”, invece, ritengono che il potere della proposta popolare diventa più forte, anche perché i regolamenti parlamentari dovranno indicare dei tempi precisi per la discussione delle proposte legislative, che non potranno più restare chiuse in un cassetto.

  • Abolizione del CNEL (perché sì e perché no)

La riforma costituzionale prevede l’abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, la cui facoltà di promuovere disegni di legge non è quasi mai stata messa in pratica. Per i sostenitori del “no” si tratta di una modifica “farlocca”, visto che di fatto il CNEL ha già funzionato poco sin dalla sua costituzione e la sua soppressione sarebbe soltanto fumo negli occhi. Per i sostenitori del “sì”, invece, si risparmierebbero circa 9 milioni l’anno e si abrogherebbe un organo comunque inutile.

  • Nuove modalità di elezione del Presidente della Repubblica (perché sì e perché no)

Cambiano le percentuali richieste. Per l’elezione sarà necessario raggiungere la maggioranza dei due terzi fino al quarto scrutinio, dalla quarta alla settima votazione serviranno i tre quinti, mentre dalla settima in poi saranno sufficienti i tre quinti dei presenti. Secondo i i sostenitori del “no” questo delegittimerà il Capo dello Stato e dalla settima votazione sarà possibile eleggere un nome che rispecchierà poco più della metà del Parlamento. Al contrario, quelli del “sì” ritengono che un meccanismo elettivo del genere favorisca l’accordo tra forze politiche sul nome da scegliere e una maggiore convergenza, visto che attualmente è sufficiente la maggioranza assoluta già dopo il terzo scrutinio (cosa che ha favorito elezioni a colpi di maggioranze politiche).

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