Napoli. Il boss Lo Russo incassava almeno 5 mila euro al mese dagli affari collegati agli ospedali cittadini. È uno dei retroscena raccontati dall’ultimo capo della famiglia malavitosa di Miano, Carlo Lo Russo, che da tre settimane ha iniziato a collaborare con la giustizia.

Dalle pagine dei primi verbali depositati al Riesame dalla Procura, pur ampiamente coperte da omissis, emergono dunque nuovi dettagli sui tentativi di infiltrazione della camorra nella sanità. Interrogato il 6 luglio scorso dal pm Enrica Pascandolo, titolare delle indagini con il pm Henry John Woodcock e il procuratore aggiunto Filippo Beatrice, Lo Russo ha confermato che Giulio De Angioletti era il suo «delegato per i rapporti con la società Kuadra», colosso delle pulizie i cui vertici sono ora sotto inchiesta proprio per i presunti rapporti con la camorra e «per tutto quello che riguardava gli ospedali».

De Angioletti, aggiunge il collaboratore di giustizia, avrebbe anche avuto rapporti con una persona del Policlinico il cui nome non è indicato nel verbale. Nella ricostruzione del pentito, negli ultimi tempi il rapporto fra il boss e il suo «delegato» si era però deteriorato al punto che, si legge, De Angioletti sarebbe «vivo per miracolo. Mi ha rubato molti soldi – sostiene Carlo Lo Russo – sia per le estorsioni, sia per gli ospedali. E infatti a un certo punto l’ho sostituito». Nel settore della sanità, il capoclan decise di affidarsi a un altro «delegato», indicato in un altro indagato, il quale, spiega, «mi ha garantito entrate fisse, mi ha subito mandato 15 mila euro e poi 5 mila euro al mese che erano i proventi degli ospedali». Le indagini sono appena agli inizi. I magistrati, che coordinano il lavoro della squadra mobile diretta da Fausto Lamparelli, dovranno ora trovare i riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia per verificarne l’attendibilità.

Nei primi interrogatori, Lo Russo si è già assunto la responsabilità di «molti omicidi», ricordando di aver intrattenuto «rapporti con esponenti di diversi clan». Carlo è il terzo esponente della famiglia Lo Russo a scegliere la strada della collaborazione con la giustizia: prima di lui hanno cominciato a parlare Salvatore (sul quale pesa una condanna in primo grado per calunnia ai danni dell’ex capo della squadra mobile Vittorio Pisani) e più di recente Mario.

Carlo però ha retto le redini dell’organizzazione nell’ultimo anno, caratterizzato dallo scontro fra il clan Lo Russo e il gruppo emergente del giovane Walter Mallo. Uno contro il quale Carlo Lo Russo meditava una terribile vendetta: «Dovevano ucciderlo, tagliargli la testa, portarsela e comprare una tazza del water: metterla dentro e lasciarla in mezzo al rione Don Guanella». Ma perché una tazza del water? «Perché si chiama Walter», risponde Lo Russo.

fonte: Dario Del Porto – La Repubblica

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