Calvizzano. Ha commosso l’intera comunità religiosa calvizzanese, ma anche coloro che hanno avuto la possibilità di leggere la storia di Anna Donati, perché l’ha voluta raccontare sul giornalino parrocchiale “Frammenti di luce”.
“Che dire: tutti almeno una volta abbiamo avuto una crisi religiosa e ci siamo allontanati da Dio, soprattutto nella fase adolescenziale, quando prevalgono i divertimenti”.

Così inizia a raccontare la sua avventura, fortunatamente terminata bene, Anna Donati sul periodico redatto nella parrocchia di San Giacomo, guidata da due giovani e dinamici preti: don Ciro e don Paolo, rispettivamente parroco e vice parroco. Un giornalino molto seguito.

“Ci siamo resi conto – continua Anna – di quanta poca importanza avesse Dio nella nostra vita. Oggi vi scrivo per raccontarvi la mia esperienza. Sin da piccola mi è stata imposta la messa di domenica, la preghiera prima di mangiare, ecc. Crescendo, queste regole mi infastidivano e mi risultava noioso fare qualcosa contro voglia, solo perché ero obbligata. Verso i 13 anni decisi di non frequentare più la chiesa e di occuparmi della mia vita e dei miei interessi. Non venivo più obbligata e mi veniva detto che potevo fare ciò che volevo.

All’età di 14 anni, durante una lezione di danza, iniziò a mancarmi l’aria: era impossibile fermare la tosse e cominciai a peggiorare giorno dopo giorno. Dopo solo qualche mese venni ricoverata d’urgenza. Due settimane dopo mi ritrovai in una stanza in compagnia di persone che non conoscevo, senza capelli e con il viso pallido. Mi feci qualche domanda, ma i conti non tornavano e negli occhi dei miei genitori lessi solo tanta tristezza. Mi fu diagnosticato un linfoma di Hodgkin…stessa razza della leucemia. Immaginate la mia reazione.

Iniziai le prime chemio, caddero le prime ciocche di capelli e presto si fecero vivi tutti gli effetti collaterali. La mia vita cambiò completamente: mi fermai con la scuola, con la danza, non potevo avere rapporti con gli estranei. I miei genitori mi ripetevano continuamente “ringraziamo Dio per questa malattia, almeno in molti casi è curabile”. Non solo ero malata di cancro, ma dovevo pure ringraziare Dio. Dopo diversi cicli di chemioterapia e radioterapia, finalmente arrivò la guarigione, quella che ho sognato giorno e notte; quella che immaginavo ogni volta che allo specchio vedevo un mostro senza capelli gonfia di cortisone e pallida; quella guarigione che desideravo quando la gente mi umiliava con lo sguardo.

Dopotutto mi sentivo fortunata ad avercela fatta e di nascosto iniziai a frequentare la chiesa: non avrei mai dato la soddisfazione ai miei genitori. Rincominciai la mia vita avvicinandomi a Dio.
Una domenica, durante la Messa, girandomi di scatto, avvertii un dolore al collo: scappai via piangendo. Feci dei prelievi. Inaspettatamente si presentò di nuovo la malattia. La situazione si complicò. A 16 anni si è più maturi: si capisce o almeno si cerca di capire di più la gravità della situazione. In quel periodo ero molto arrabbiata con Dio, con la chiesa, con tutto e tutti. Venni sottoposta a infinite chemio e a un autotrapianto di cellule staminali. Purtroppo nel mio torace si era formata una pietra che non voleva andare via. Le domande che mi ponevo erano infinite, ma le risposte non esistevano e le probabilità di guarigione diminuivano.

Intanto, nella mia testa e nel mio cuore c’era tanta speranza: pure quando le cose si complicavano sentivo quella voce che diceva “ce la farai”. Nel frattempo, in America una cura sperimentale stava dando ottimi risultati e nel giro di qualche mese arrivò in Europa. In Italia solo a Udine era disponibile, ma, dopo varie richieste dell’ospedale di Napoli, riuscii a farla. Bastò poco per guarire, anche se nessuno mi dava la certezza trattandosi di un farmaco sperimentale. Mi proposero quindi un trapianto di midollo osseo. Dopo quattro anni di travaglio ci si fa una cultura circa le procedure mediche e si è consapevole dei rischi. A 18 anni ero l’unica a dover decidere, solo la mia parola contava. Affidai la mia vita a Dio: non avevo alcuna speranza. Avevo bisogno di credere in qualcosa e ogni volta che pregavo avvertivo un senso di tranquillità. Mi feci coraggio e decisi di fare questo passo.

Mi trasferii a Genova per quattro mesi, di cui uno in isolamento. Arrivò il grande giorno. Il venerdì Santo venne tolto il midollo a mio padre e il giorno di Pasqua entrò effettivo nel mio corpo. Tutto procedeva per il meglio. Ma, a distanza di giorni, prima del rientro a Napoli, si bloccò il midollo e tutti i valori erano in calo. Ciò significava fare un altro trapianto con percentuali dell’1% di farcela. Ormai la situazione si complicava come fosse già programmato. Mi prepararono la stanza per il ricovero urgente e mi fecero un emocromo per valutare la situazione. In quel momento ho incontrato Gesù. Mi tranquillizzavo solo quando ci parlavo. Penserete che sia stupida, ma io l’ho conosciuto proprio lì, quando avevo la morte di fronte. Dopo pochissimi secondi iniziai ad avere freddo, tremavo e mi salì la febbre.
Arrivarono le risposte delle analisi: i dottori si guardarono e dai loro occhi riuscii a leggere la gioia. I valori erano tornati nella norma. Allora capii di non poter fare a meno di Gesù.

Oggi – conclude Anna – mi sento fortunata: nella malattia l’ho conosciuto e ogni volta che mi allontano, al ritorno, è sempre più accogliente. Il vuoto che mi ha lasciato la mia adolescenza lo colmo con la preghiera. San Giuseppe Moscati diceva: “scienza e fede non sono in contrapposizione perché entrambe operano il bene dell’uomo”. Io ne sono prova vivente e credo che ogni persona sia diversa dall’altra, ma con Dio tutti ci completiamo”.

di Mimmo Rosiello

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