Di Piazza Risorgimento, quartiere tra i più ‘blasonati’ della Milano-bene, Vincenzo Guida e Alberto Fiorentino, noti pregiudicati di origine napoletana presenti da decenni nel capoluogo lombardo dove sono stati condannati per l’associazione camorrista denominata ‘nuova famiglia’ dagli anni ’80 fino al ’96, avevano preso il controllo totale da circa un anno.

SODALI DEI MALLARDO. Guida e Fiorentino sono ben noti alle forze dell’ordine per essere stati accusati e poi prosciolti di vari omicidi negli anni della “Milano da bere”. Furano infatti processati all’epoca con Giuseppe e Francesco Mallardo (anche loro risultati innocenti) dell’uomo di fiducia di Raffaele Cutolo, Carlo Biino. Vincenzo Guida è fratello di Nunzio Guida un vero il vero uomo forte della criminalità organizzata al Nord Italia capace di contatti con mezzo mendo.

UNA BANCA DELLA CAMORRA. Gli agenti della squadra mobile, coordinati dalla Dda, li hanno monitorati per mesi con pedinamenti e appostamenti registrando le loro mosse e i loro affari. Affari redditizi a tal punto da costituire nel cuore della città una sorta di banca a tutti gli effetti, sempre attiva, con ‘sportelli’ ovunque nel quartiere, dai bar e locali ‘inconsapevoli’ dei traffici che gli indagati facevano durante le loro soste, fino alle panchine della piazza che diventano, soprattutto d’estate, punti d’appoggio per ricevere, discutere, minacciare. Guida e Fiorentino agivano con altre due persone, Filippo Magnone e Giuseppe Arnhold, due persone con entrature bancarie in Svizzera e in Ungheria, capaci, secondo l’accusa, di trovare prestanome in entrambe le nazioni. I primi due sono indagati per esercizio abusivo del credito aggravato dal cosidetto metodo mafioso e per impiego di denaro di provenienza illecita, gli altri due per riciclaggio.

UN GIRO DI SOLDI CON LA SVIZZERA. Tutti i reati sono aggravati dalla transnazionalità. Il sistema monitorato ha portato gli inquirenti a ‘fotografare’ le attività messe in piedi: venivano concessi finanziamenti a vari imprenditori con tassi d’interesse nell’ordine del 30-40%. I proventi venivano poi trasferiti su conti in banche estere, soprattutto in Svizzera e in Ungheria. Quindi, in parte i soldi rientravano in Italia per essere nuovamente impiegati con la ‘banca’, in parte venivano investiti in titoli all’estero

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