Sono un fanatico delle competizioni elettorali. Le seguo tutte, o quasi. Da quelle del comune di Barcellona Pozzo di Gotto alle amministrative tedesche, dalle presidenziali americane a quelle del Comune di Piano di Sorrento. Lo faccio per diversi motivi, un po’ per capire le differenti dimensioni nei comportamenti elettorali, un po’ per capire come funzionano i ritmi propagandistici, un po’ per comprendere quanto il rapporto tra comunicazione e democrazia varia e via discorrendo. Una palestra, da osservatore, dalla quale imparo molto sul funzionamento dei sistemi politici e sul modo di fare comunicazione. Ho più di una cartella piena di documenti, comunicati stampa da incorniciare, campagne di comunicazione, slogan raccolti, manifesti elettorali e tutte ferme lì, e forse un giorno deciderò cosa farne.
In queste settimane, e nelle prossime, ho assistito ed assisterò – in parte per lavoro e in parte per ricerche – a queste “benedette” politiche del 2013, e devo dire che sono già stanco, oltre che terribilmente annoiato.
Non parlo solo delle “macchiette” di Berlusconi che nelle ultime ore mi perseguitano, e nemmeno dei confronti televisivi dal sapore ventennale, come quello di ieri sera tra Tremonti e Fini, tantomeno delle cornici giornalistiche che continuano – perpetuando un peccato originale – a copiare ed incollare i tweet dei politici, a prendere pezzi dai blog per fare articoli che facciano share e da mettere in Home page (li chiamano pure giornalisti), o a cercare maldestramente di fare “Fact Checking”, parola oggi di moda quasi quanto il termine “Spread”.
E non faccio riferimento nemmeno alle orribili campagne di comunicazione che circolano in Rete (e non solo), agli slogan da campagne elettorali per i rappresentanti del liceo di periferia, ai logo sempre più taroccati e meno rappresentativi, alle polemiche sui complotti e alle ricusazioni di alcune liste. Figurarsi se faccio riferimento ai sondaggi che ormai ognuno li cucina come vuole, alla rimonta di un polo sull’altro, al voto utile e al paradosso dell’inutilità del non andare a votare.
Mentre scrivo però penso che forse è qui, in questo tipo di annichilimento, che risiede e che trae origine quel sentimento, sul quale ho tanto scritto e litigato, che chiamiamo un po’ impropriamente Antipolitica. Ed è forse per le stesse motivazioni che restiamo a guardare e discutere per giorni di Berlusconi e di quanto sia bravo in Tv, sul ridicolo complotto messo su da Grillo circa le liste (e tenuto su da sedicenti giornalisti e opinionisti televisivi), sul fatto che Monti abbia usato un emoticons su Twitter. Un sentimento antipolitico, il mio, dovuto all’eccesso di mediatizzazione, di spettacolarizzazione e – perché no – di sterile e caotica discussione sui temi politici.
A poco più di un mese, e lo dico da esteta e da cittadino cercando di evitare di rientrare nel percolato di chiacchiere e di analisi che leggo in giro, credo dunque di ritrovarmi davanti alla più brutta campagna elettorale degli ultimi venti anni, o almeno di quelle che – vuoi per l’età e vuoi per interesse – mi è capitato di assistere da vicino, molto da vicino.
Facendo questo ragionamento, paradossalmente, stamattina mi ritrovo più a mio agio a discutere nel bar di periferia, dove la pancia vale più delle analisi, dove la tasca conta più dello slogan e dove – mutatis mutandis – si vincono le elezioni.

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