E’ la foto che più ha scosso il web e non solo. Quella di Aylan, il bambino annegato durante il naufragio dell’imbarcazione che doveva portare la loro famiglia originaria di Kobane a Kos, l’isola greca dove migliaia di profughi dalla Siria sbarcano in queste settimane con la speranza di raggiungere il Nord Europa. Sulla sua storia è intervenuto l’attivista Egidio Giordano che più volte è stato proprio a Kobane. Giordano oggi annuncia che vuole ricostruire e raccontare la storia del piccolo Aylan. Ecco il post che ha pubblicato su Facebook.

“Da qualche ora i giornali hanno reso nota la notizia che Aylan (il piccolo trovato sulla spiaggia di Bodrum) e il suo fratellino Galip di cui il mare non ha restituito il corpicino senza vita, erano di ‪#‎Kobane‬. Per tanti è una notizia di poco conto. Per tanti Aylan e Galip erano tra i tanti bambini siriani che scappano da una guerra permanente e che non vede all’orizzonte soluzioni possibili. Rifugiati, come tanti. Non è così. Fino al 15 settembre di un anno fa Kobane, capitale di uno dei cantoni del Rojava, era una città che nel mezzo della crisi siriana si era ritagliata uno spazio di libertà e stava dando al mondo una immensa lezione di democrazia e tolleranza tra le differenza. Nel mezzo dei fanatismi e della barbaria a Kobane come negli altri due cantoni si sperimentava un mondo senza sfruttamento, una democrazia confederale, femminista e cosmopolita. Poi, con l’appoggio della Turchia, l’Isis ha invaso la città, costringendo i civili a scappare e la popolazione locale ad organizzare la strenua resistenza che ha portato alla cacciata dei jihiadisti. La guerra durissima però ha lasciato della città solo maceria e l’occidente, oltre agli applausi e ai ringraziamenti agli eserciti popolari che hanno allontanato l’Isis dalle pendici dell’Europa, non ha fatto nulla per ricostruirla, né per costringere Erdogan ad aprire il corridoio alla frontiera che permetterebbe il passaggio dei materiali edili e delle medicine. Quando sono stato a Kobane ho assistito ad uno dei tanti rientri di massa dei profughi dopo la guerra. C’erano tanti bambini. Alcuni somigliavano ad Aylan. Chissà che Aylan non fosse tra loro. Abbiamo parlato a lungo con le mamme, i papà, i nonni di quei piccoli. Abbiamo giocato con loro e insieme abbiamo alzato l’indice e il medio in segno di liberazione. Li abbiamo aiutati a svuotare i camion pieni di tutto quanto era servito per far sembrare una tenda casa propria. Ognuno dei profughi ci diceva tra le lacrime che stava tornando in mezzo a quel niente, a quelle macerie senza acqua né luce, perché sapeva di aver interrotto una rivoluzione e che servivano braccia e gambe per ricostruire dove l’Isis aveva interrotto. Sono passati mesi e senza aiuti a Kobane si è ricostruito poco e niente. Il 25 Giugno la Turchia maledetta ha fatto entrare a Kobane i sopravvissuti dell’Isis alla presa di Tel Abyad e quelle squadre di morte senza niente da perdere e accecati dall’odio per l’unico popolo che da un anno li respinge senza paura, hanno ucciso 250, innocenti. Ecco. Io penso ad Aylan, a Galip e alla sua mamma che pure è morta nell’acque turche. Penso che ci hanno messo un anno per andare via da quell’apocalisse che a un certo punto è diventata l’inferno. Penso che questo vorrà dire che hanno provato a restare, che forse hanno sperato fino alla fine che la loro Kobane tornasse a splendere della luce di cui splende l’autogoverno del ‪#‎Rojava‬. Penso che se l’occidente avesse adempito a qualcuna delle promesse fatte ai curdi e non avesse messo la testa sotto la sabbia per non far arrabbiare l’amico Erdogan forse Aylan starebbe giocando a pallone nei campi di calcio di Kobane e non giacerebbe su quel bagnasciuga. Stamane abbiamo scritto ai nostri amici di Kobane. Gli abbiamo chiesto di aiutarci a ricostruire la storia del piccolo Aylan e della sua famiglia in fuga verso il Canada. Perché quel corpicino torni nella sua memoria, nella sua storia, nella sua provenienza, quella di un popolo che non si arrende e che solo davanti ai giganti continua a combattere per la giustizia e per la libertà. Aylan è un curdo di Kobane e la sua morte pesa innanzitutto sul nostro silenzio”.

continua a leggere su Teleclubitalia.it
resta sempre aggiornato con il nostro canale WhatsApp
Banner tv77 Finearticolo