Hanno quasi tutti ammesso di aver fatto parte del branco che ha aggredito Gaetano,  il giovane pestato nei pressi della stazione della metropolitana di Chiaiano. Tutti hanno espresso lo stesso concetto, ma nessuno ha ammesso di aver sferrato il calcio che ha spappolato la milza del giovane, facendogli rischiare un’emorragia interna. Né tanto meno hanno fatto il nome dell’autore.

Il quadro investigativo appare comunque chiaro a quindici giorni di distanza dalla decisione del gip del Tribunale dei Minori di spedire una decina di minori in comunità. Si sa tutto della vita dei componenti della babygang, tranne appunto chi ha dato a Gaetano il calcio che poteva essergli fatale.

Il caso di Gaetano, che fu visitato in ospedale anche dal Vescovo di Aversa Angelo Spinillo, suscitò enorme clamore, per la dinamica dell’aggressione, per la futilità dei motivi che la scatenarono, e perché arrivò a pochi giorni di distanza dal ferimento di Arturo, il 17enne napoletano accoltellato da un altro branco di ragazzini.

La ricostruzione dei giovani del branco offre uno spaccato disarmante sulla vita nelle periferie partenopee. Sono tutti under 16 e si ritrovano ora a fare i conti con una realtà diversa, come quella della comunità, e a dover affrontare un processo penale per un reato che tutto è tranne che un gioco. Nessuno di loro ha precedenti penali e nessuno appartiene a contesi familiari legati ai clan camorristici. Eppure in quella sera di metà gennaio hanno aggredito senza pietà un loro coetaneo, riducendolo in fin di vita, senza un apparente motivo.

Le indagini sono state facilitate anche dai racconti e dalla testimonianza della stessa vittima, che ha ricostruito la sua esperienza. Per i giudici i ragazzini hanno agito spinti da logiche di branco e in mancanza di un progetto di vita in grado di realizzare ed impegnare il proprio tempo.

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