L’architetto ebreo, di origine ungherese, Pali Meller, viene denunciato e arrestato per aver falsificato un documento nel quale si attestava la sua appartenenza alla razza ariana. Vedovo da tempo (la moglie, una ballerina olandese, era morta nel 1935 in un incidente d’auto), deve lasciare i suoi due figli, Paul di 11 anni e Barbara di 7, alla governante Franziska Schmitt. In un’epoca che assisteva all’annientamento degli ebrei d’Europa da parte dei nazisti, Meller non viene deportato in un campo di concentramento, ma con sentenza di un tribunale viene condannato a sei anni di detenzione da scontare nell’istituto penale di Brandenburg-Görden, dove muore, dopo tredici mesi, il 31 marzo 1943. Aveva quarant’anni. Dalla prigione, riuscì a spedire ventiquattro lettere costruendo con i figli una nuova relazione, affidata alla carta, così come “di carta” divennero i baci che poté inviare loro. Queste lettere – tanto belle quanto amare, traboccanti d’affetto, poetiche e, al tempo stesso, ricche di ammonimenti pedagogici – sono, in primo luogo, un documento dei tempi bui in cui Meller ha vissuto. Ma costituiscono, anche, una testimonianza letteraria, nella quale si esprime in tutta la sua drammaticità l’impotenza dell’amore paterno. Mentre giorno dopo giorno la terra gli franava sotto i piedi, Meller scriveva parole struggenti e piene di dignità che suonano come un atto estremo di resistenza alla barbarie. «Allora, testa alta – raccomandava ai figli in una delle sue lettere – cosicché io possa baciarvi da capo a piedi. Vostro padre».

 

Pali Meller, nato il 18 giugno 1902 nell’attuale città di Sopron (Ungheria), dopo gli studi in architettura, intraprese la carriera a Rotterdam presso lo studio dell’architetto Oud. Trasferitosi a Berlino, collaborò con Otto Bartning. Vedovo e padre di due figli, fu arrestato nel febbraio del 1942 a causa della sua origine ebraica. Condannato a sei anni di carcere, morì nel penitenziario di Brandenburg-Görden.

 

Dorothea Zwirner ha seguito studi storici e di storia dell’arte. Vive e lavora a Berlino

 

Carlo Saletti, è storico e regista teatrale. Come ricercatore si è occupato delle politiche di violenza nella Germania del Terzo Reich. Tra le sue ultime pubblicazioni Fineterra. Benjamin a Portbou (2010), in cui si ricostruisce la fuga dalla Francia del filosofo tedesco sono al suo tragico epilogo in Spagna, e Visitare Auschwitz (2012), scritto assieme a Frediano Sessi, che costituisce la prima guida storica all’ex campo di concentramento e al sito memoriale. Fa parte della direzione scientifica della Maison d’Izieu-Mémorial des enfants juifs exterminés (Francia).

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